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bolo rei

Panettone o pandoro? Meglio la torta dei re

Mattia Giusto Zanon

L’antica faida viene rispolverata ogni festività natalizia, eppure esistono tradizioni gastronomiche secolari per festeggiare il Natale, e alcune come nel caso delle “torte dei re” hanno delle storie molto curiose

Più puntuale della ritrasmissione televisiva di Una poltrona per due – ormai si oserebbe dire pure invecchiato malissimo – più della diatriba insanabile tra vecchi zii “de sinistra” e cugini salviniani, c’è lei, l’unica, la regina delle polemiche della tavola delle festività. Pandoro o panettone? Eppure se si allargassero le proprie vedute un minimo rispetto alla visione per cui il mondo è solo quello compreso tra Verona e Milano, ci si accorgerebbe presto di quanto sia in fondo provinciale questa battaglia e di quanti altri modi succulenti esistano al mondo di festeggiare la nascita del Salvatore, o la venuta del barbuto ciccione reso icona globale dai tipi della Coca-Cola.

 

Immaginate per un momento una ciambella, per simbolismo quindi una corona – da cui il nome bolo rei una torta, in portoghese bolo, grande, appariscente, dorata e impreziosita da gemme colorate fatte di canditi tagliati a pezzi grossi, estremamente profumata. È quasi il gemello del roscón de reyes spagnolo – in latinoamerica rosca – con la differenza che avendolo fatto i portoghesi, ci hanno ficcato dentro ovviamente anche il Porto, oltre ad altre amenità come uvetta e frutta secca. Gli spagnoli, invece, essendo spagnoli, col roscon peccano di hybris, lo tagliano a metà farcendolo quindi di cattiveria di panna montata.

   

Come ogni dolce tipico degno di tal nome, anche il bolo rei non poteva giungere ai posteri sprovvisto di una leggenda affascinante. Nonostante il nome possa per un attimo far pensare a un lusitano fervore monarchico, la sua storia è invece legata ai re magi, alle cui corone è ispirata la sua forma, e alla rocambolesca consegna dei loro doni. Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, sulla strada per Betlemme, si misero a discutere su chi avrebbe consegnato per primo il proprio dono. Per sedare l’alterco, decisero di seguire il consiglio di un fornaio, che nascose una fava secca all’interno dell’impasto di un pane dolce, stabilendo che chi di loro avesse trovato per primo la fava, sarebbe stato il prescelto.

   

In memoria di ciò in molti casi ancora oggi soprattutto nel bolo rei e nel roscon si nasconde una fava o una ceramica rappresentante un piccolo pezzo del presepe, che si dice che porti fortuna a chi la trova, ma a una condizione: a patto che si impegni a pagare lui il dolce l’anno seguente. Oneri e onori.

 

La galette des rois, è tutt’altra cosa, si rifà più o meno alla stessa tradizione, o quantomeno alla stessa leggenda, ma invece di essere “la Lamborghini dei ciambelloni” come le sue cugine iberiche, è piuttosto una torta dimessa, dall’aspetto più casto, farcita di crema frangipane, quindi a base di farina di mandorle, su base di pasta sfoglia. Un po’ in sottotono rispetto alla grandeur transalpina. In Belgio, giusto per contraddire i cugini francesi, è in frolla.

  

In realtà l’origine delle “torte dei re”, tutte imparentate tra loro, è stata in più casi messa in relazione anche con i Saturnalia romani, le feste dedicate al dio omonimo che si svolgevano in concomitanza con i giorni successivi al solstizio d’inverno. Per questi festeggiamenti, si elaboravano delle semplici torte rotonde ingentilite da fichi, datteri e miele. Anche allora, si introduceva all’interno del dolce una fava secca, e il fortunato a cui capitava veniva nominato – con grande ironia, dato che erano per lo più dolci riservati a plebei, schiavi e liberti – “re dei re” per un breve periodo di tempo stabilito in precedenza.

  

Meglio la versione in frolla o quella in sfoglia? Meglio il roscon farcito o il retrogusto alla saudade che solo il bolo rei sa dare? Quale è stato inventato prima? Chi discende da chi? Qual è meglio? De gustibus, in fondo poco importa, perché come ammoniva già al tempo il Guicciardini, Franza o Spagna, purché se magna.

  

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