Alcuni pub di Londra chiusi per il lockdown (foto LaPresse)

God save the beer

Massimiliano Vitelli

Nel Regno Unito i pub sono ancora chiusi a causa del lockdown. E i birrifici indipendenti lanciano l'allarme: “Se il governo non interverrà molti non riapriranno”

Venerdì 20 marzo non deve essere stato un giorno facile per il premier britannico Boris Johnson. Prima di annunciare la chiusura dei pub a causa del Covid-19, avrà certamente riflettuto a lungo, consapevole di ciò che avrebbe scatenato la sua decisione. Con oltre 60.000 esercizi dislocati sul territorio del Regno Unito il pub è, per diversi aspetti, il cuore della nazione. Il ritrovo della working-class dopo ore di lavoro, ma anche dei grandi imprenditori, delle famiglie, dei ragazzi e delle nonne. 

 

Nati nel 1400 come osterie che offrivano cibo e alloggio, i pub prendono il loro nome attuale nel 1931, quando si decise di accorciare l’allora denominazione “Public house”. Prima della pandemia, nel Regno Unito, venivano spillate 225 pinte ogni secondo, per un totale di 8.059.495.997 l’anno (la stima è del BBPA, British Beer & Pub Association). Calcolatrice alla mano, è facile stabilire quante pinte di birra sono rimaste nei fusti dal lockdown: oltre 1.200.000.000. Un danno gravissimo per i produttori, ma anche per tutti gli attori della filiera che va dall’approvvigionamento delle materie prime fino al consumatore finale, passando per la produzione e la distribuzione.

 

Gli ultimi conteggi segnalano circa 457.000 persone impiegate nei pub britannici, ai quali vanno aggiunte quelle che lavorano nell’indotto. I numeri sono altissimi e certificano quanto il settore della birra influisca sull’economia dell’isola. Secondo uno studio di settore pubblicato dal quotidiano Independent lo scorso 28 ottobre, un londinese, nel corso della sua vita, spende circa 82.000 sterline in birra. Considerando che il prezzo medio di una pinta è di 3.61 sterline, si è stabilito che un cittadino inglese beva, raggiunta la maggiore età, almeno una birra al giorno.

 

Tutte queste informazioni non sono passate inosservate al governo britannico, che sta cercando di correre ai ripari per supportare il comparto, anche se tra i piccoli imprenditori sono in molti a tremare. “C’è un’enorme differenza tra le grandi aziende e le fabbriche a conduzione familiare – spiega James Calder, Chief Executive SIBA (Society of Independent Brewers) – i giganti del settore vendono gran parte della produzione attraverso i canali dei supermercati, mentre i birrifici indipendenti destinano quasi la totalità della loro birra ai pub. La chiusura dei locali pubblici, quindi, ha messo questi ultimi in ginocchio”.

 

Calder, poi, lancia l’allarme: “Se il governo non interverrà in modo deciso e immediato aiutando economicamente gli imprenditori, molte piccole aziende non riapriranno”. Per cercare di tamponare la situazione è nata la campagna “Pulling Together”, un’iniziativa che collega birrifici, pub e consumatori attraverso un sistema di consegne a domicilio. Un brutto colpo al sistema lo ha assestato la sospensione della Premier League, il massimo campionato di calcio inglese. Per i supporter britannici, fermarsi a un pub per un paio di pinte prima di recarsi allo stadio a sostenere la propria squadra è un must, una tradizione pressoché irrinunciabile. Il binomio “football & beer” è così forte che quasi tutti i club hanno un pub di riferimento dove i tifosi si ritrovano non solo nei giorni delle partite, per rilassarsi, confrontarsi e a volte (quando il tasso alcolico raggiunge livelli eccessivi) scontrarsi. Un esempio è il “The Butcher’s Hook”, il pub situato in Fulham Road proprio davanti all’ingresso di Stamford Bridge, la casa del Chelsea. Qui, il 10 marzo del 1905 (allora si chiamava “The Rising Sun”) è stato fondato il club che rappresenta calcisticamente uno dei quartieri più ricchi di Londra. Oggi le serrande del “The Butcher’s Hook” sono abbassate, il bancone è impolverato, i tifosi che ci passano davanti buttano un’occhiata all’interno e tirano dritti sognando di poter presto tornare ad affollare il locale.

 

Intanto, a 812 km dal Regno Unito, in Danimarca, la Carlsberg, una tra le prime aziende produttrici di birra del mondo, è scesa in campo per sostenere i pub. La campagna lanciata dalla fabbrica di Copenaghen si chiama “#Adoptakeg” (adotta un fusto). Nel video di presentazione si vede l’interno di un pub, deserto. Una voce fuori campo recita: “In questo momento, nel tuo pub di quartiere c’è un fusto triste e solo. Riempiamolo insieme”. Poi si chiede ai consumatori di scannerizzare i codici a barre delle lattine che stanno consumando in casa e di postarle sul sito ufficiale. Ogni quattro lattine si guadagna una pinta di birra da consumare gratuitamente nel pub sotto casa quando si potrà tornare a farlo. 

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