Gerard van Honthorst (Gherardo delle Notti), “Cristo davanti a Caifa” o “Cristo davanti al sommo sacerdote” (1617). Londra, National Gallery (Wikisource)  

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È il Messia, o uno qualunque?

Maurizio Crippa

Chi è nato a Natale? Una “disputa messianica” ha diviso l’ebraismo: i farisei attendevano un Salvatore (ma non un falegname). I sadducei di Caifa no, e condannarono  Gesù per blasfemia. Ma per i cristiani il Maestro è di più. Indagine 

Il Natale quando arriva arriva, diceva una vecchia pubblicità. “Oggi è nato per noi un Salvatore, il Messia da tutti invocato”. Ma il Natale se ne va in fretta, ci sono i saldi anche per i difensori del presepe e viene presto il momento per una domanda cruciale, già pasquale, per chi abbia cuore e testa di farsela: ma alla fine, precisamente, la nascita di “Chi” abbiamo festeggiato? E’ davvero nato il Messia, o il Dio fattosi Bambino è una vecchia favola, scalzata dalla corrosione dei secoli e soprattutto dalla nuova religione del dio del Black Friday? Domanda che potrebbero farsi anche quelli che il Natale non sanno cosa sia, ma iniziano a esserne stufi come di un consumo vecchio (molti articoli e post dedicati al tema, in questi giorni). Soprattutto dovrebbero farsela i cristiani e gli spiriti religiosi disposti ancora a interrogarsi. Perché “se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede”, come spiegava san Paolo a quei testoni dei Corinzi. Insomma chi è, davvero, il Messia di cui abbiamo festeggiato la nascita? La disputa attorno all’identità umana, o umana-divina, di Gesù di Nazaret, Jeshua ben Yosef, esploderà una trentina d’anni dopo: nelle settimane che precedono la Pasqua ebraica destinata poi a sovrapporsi nei calendari alla Pasqua di Resurrezione cristiana, o a esserne sorpassata.

 

L’ebraismo diviso tra la concezione di un Dio inarrivabile che non si mescola all’uomo e la fede dei profeti in un “Germoglio” che deve venire
 

Esploderà nelle settimane precedenti la festa di Pesach, nell’anno in cui sommo sacerdote era il sadduceo Caifa e la Galilea era governata da Ponzio Pilato per mandato dell’imperatore Tiberio. La “disputa messianica”, il grande dibattito scritturale, teologico, ma anche  politico e storico sulla figura del Messia, l’Unto del Signore – in qualche momento si era giunti a chiamarlo “Figlio di Dio” anche se nessuno, prima né dopo Gesù, ha avuto la pretesa di identificarsi col Figlio – e sulla possibilità stessa di una sua venuta come liberatore del popolo e portatore della giustizia era iniziata molti secoli prima: molto prima che la cruciale domanda finisse, con l’ineluttabilità delle cose divine, per far scontrare la fede dell’ebraismo con quella del cristianesimo. Provocando una deflagrazione insolubile, “clamore che ancora risuona in ogni umanità” (Péguy).

 

Il libro di Israel Knohl  “La disputa messianica. Farisei, sadducei e la morte di Gesù” indaga la la persistenza e lo scontro sull’idea di Messia
 

Una storia iniziata molti secoli prima che la finale “disputa tra farisei e sadducei” riguardasse da vicino la morte di Gesù. Molto prima di Jeshua ben Yosef e dei suoi primi discepoli, la disputa ha riguardato la storia del popolo ebreo, del comporsi stesso delle Scritture sacre, delle Leggi, delle differenti spiritualità e osservanze interne all’ebraismo. La vicenda, nota a biblisti e specialisti soprattutto ebrei – i cristiani per un paio di millenni hanno badato al sodo, al Figlio di Dio che era risorto – è diventata argomento di un libro interessante, di taglio divulgativo, da poco pubblicato da Adelphi. Si intitola La disputa messianica. Farisei, sadducei e la morte di Gesù. L’autore è Israel Knohl, professore emerito di Studi biblici presso l’Università ebraica di Gerusalemme, in passato visiting professor a Berkeley, Harvard e Stanford e anche presso la Pontificia università Angelicum di Roma, sede di sapienza domenicana. Un prestigioso curriculum che non impedisce al 73enne studioso uno sguardo a volo d’uccello, narrativo, forse eccessivamente sbrigativo quando si tratta di addentrarsi nei dettagli e nelle interpretazioni scritturali che pertengono al coté cristiano della vicenda. Ma ogni cosa a suo tempo. E’ affascinante seguire Knohl dalla sua prima “passeggiata”, un giorno di Capodanno ebraico, dalla sua casa nella German Colony di Gerusalemme verso il Muro del Pianto. Il casuale incontro con un uomo anziano che gridava: “Ecco il re che siede sul trono elevato”. Nella tradizione ebraica Capodanno è “il giorno in cui Dio viene incoronato Re dell’Universo”, mantenuta viva da vari gruppi dell’ebraismo come i seguaci dell’ottocentesco Rabbi Nachman di Breslov. “La scena cui ho assistito presso il Muro del pianto – scrive – dimostra la vitalità dell’idea messianica nel mondo ebraico”. Da lì il progetto di ripercorrere le “apparizioni” del Messia “dal profeta Isaia fino alla rivolta di Bar Kokhba (o Terza guerra giudaica: fu l’ultima disastrosa rivolta contro i romani, al termine del secondo secolo ‘avanti era volgare’, ndr), mettendo in luce la drammatica, sfaccettata e affascinante controversia sull’idea di Messia all’interno della Bibbia stessa”.

 


Si parte dall’inizio, dal fatto che nella Torah, i libri della Legge, non si parla di alcun “Messia” e anzi l’idea stessa di un Dio che possa mescolarsi alle vicende umane è esclusa. L’intera Torah, scrive, “fa una netta distinzione e tra l’umano e il divino. Primo, Dio vive per sempre mentre l’uomo è mortale. Secondo, Dio non può riprodursi biologicamente, quindi nessun uomo può essere ‘figlio di Dio’. Al più, questa espressione può valere come metafora”. Il cammino storico del popolo ebreo è accidentato e tormentato, ed è lungo questo cammino che accumulo dopo accumulo, scrittura dopo lettura, salmo dopo profezia prende corpo invece l’idea di un Unto del Signore, o di un re liberatore, da attendere. La nascita dell’idea messianica “affonda le sue radici in una serie di eventi attorno alla distruzione dei regni di Israele e di Giuda”, i due differenti regni in cui il territorio e popolo di Israele furono divisi. La disperazione si impossessa più volte del popolo, poi verrà la Cattività babilonese. E’ in questi momenti che emergono profeti che indicano una nuova strada. Il maggiore di loro, Isaia, dice: “Il Signore vi darà un segno. Ecco: una giovane donna concepirà e partirà un figlio, che si chiamerà Emmanuele”. E ancora: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. Ma “Isaia”, spiega Knohl, è il nome collettivo di tre autori che scrivono prima dell’esilio, durante e dopo, per consolare e indirizzare il popolo con l’idea di un futuro liberatore, giusto e portatore di saggezza e benedizione, ma che dovrà anche molto patire: sono i famosi capitoli dedicati al “Servo sofferente”. Ci sono altri profeti che, riguardo al Messia, la vedono diversamente, come ad esempio Osea: l’ideale messianico non è univoco nel tempo e nel significato. In sostanza però sono chiare due prospettive entrambe legittime: “Una è la credenza nell’inviolabile distinzione tra il divino e l’umano”. L’altra “si ritrova nei salmi e nella letteratura profetica che parla del Messia”. La tesi dello studioso è che “la discrepanza tra queste due tendenze proseguì per generazioni e culminò nel processo a Gesù di fronte al Sommo Sacerdote”. E si arriva ai decenni prima di Gesù, alla decadenza del regno di Erode, alla dominazione romana. Il tempo in cui la maggior parte del popolo, le scuole dei farisei e le sette come quella degli esseni, che pure erano in contrasto tanto col governo del Tempio quanto con i farisei, attendono un Messia. Il tempo è vicino. Il re documentato dai rotoli esseni ritrovati a Qumran assomiglia molto alla figura di Gesù di Nazaret.

 

Gesù fu condannato dai sadducei, i farisei non lo avrebbero messo a morte. Però, per i Vangeli, la sua “pretesa” riguardava tutti, non solo gli ebrei
 

Tra gli esseni si profetizza un Messia sofferente. Il tempo è vicino, è la predicazione anche del Battista, ma i tempi sono anche complicati. Il potere religioso, il Tempio e il Sinedrio, sono saldamente nelle mani dei sadducei, una setta intransigente che difende la purezza e il rispetto della Legge ma, secondo la Torah, non crede ad alcun Messia né alla resurrezione dei morti. Saranno loro, dice Knohl, a gestire il processo a Gesù e l’inevitabile condanna, dal loro punto di vista, per blasfemia. I farisei, nelle loro varie scuole, non erano invece contrari all’idea messianica. Anche se certo, tra i tanti finti messia, non avevano troppa simpatia per quel “galileo” che rischiava di sobillare il popolo.  Sostiene in sintesi Knohl che “il processo a Gesù fu in ultima analisi un drammatico scontro fra questi due differenti approcci ideologici radicati nella Bibbia”. Nella ricostruzione dello studioso, Gesù si trovò, insomma, nel posto sbagliato al momento sbagliato: era più o meno un esseno, e certo i farisei non l’avrebbero mandato a morte. Il processo contro Gesù fu gestito dai soli sadducei, ignorando le norme in vigore nel Sinedrio dove sedevano anche i farisei, che non avrebbero mai approvato una tale procedura giudiziaria. Fin qui la visione di Knohl, affascinante e ovviamente apprezzabile nell’intento di “contribuire a sanare” una lunga storia di inimicizia e “gettare nuova luce sulle circostanze che portarono alla crocifissione di Gesù”, fornendo dal punto di vista ebraico “un solido fondamento storico” alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate. A uccidere Gesù non furono gli ebrei ma i romani, l’accusa del sangue è finalmente caduta. 

 


Il percorso del libro sulla “disputa messianica”, interessante e legittimo dal punto di vista dell’esegesi ebraica, approda però a un cruciale paradosso. Togliendo consistenza alla figura del Messia umano-divino e prendendo per buono, in questo, solo il “Gesù storico” che anche molti studi di parte cristiana hanno forgiato (oggi in molti aspetti superati dagli stessi progressi dell’esegesi) il risultato certo involontario del libro è di far sorgere nel lettore un paradossale dubbio. Lasciamo i sadducei alla loro condanna; ma anche per i farisei Gesù era solo uno dei tanti falsi profeti; forse non l’avrebbero condannato a morte (anche se nei Vangeli i farisei partecipano alla decisione nei giorni prima dell’arresto), ma semplicemente non sarebbe stato “il Messia da tutti invocato”. Invece Gesù non è soltanto è morto in croce, ma è risorto: è qui che la “pretesa cristiana”, come la chiamava don Luigi Giussani in un suo libro incalzante sull’origine del cristianesimo, si pone non solo per i farisei o i sadducei, ma per tutti. Anche per noi moderni. Si può leggere il finale del racconto della “disputa messianica” in modo diverso che come una semplice resa dei conti tra due correnti di pensiero ebraico? L’autore del libro non fa molto affidamento al punto di vista dei cristiani. Ad esempio quando nega, in una riga, che la Madre di Gesù fosse stata presente sul Calvario: eppure lo riporta Giovanni, e non esistono altre fonti che contestino il fatto. E sempre Giovanni, nel suo cruciale capitolo VIII, che narra la disputa con i farisei, (chiamati anche “i giudei”) indica che in gioco in quei giorni nel Tempio c’è qualche cosa di più di uno scontro tra diverse scuole dell’ebraismo. Anche in Matteo si legge “guai a voi, scribi e farisei ipocriti”, a testimonianza che la disputa non era solo con i sadducei. E’ il momento chiave, quello in cui Gesù li incalza a riconoscere la sua natura. Lo accusano: “La mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado”. “Se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato”. “Gli dissero allora: ‘Dov’è tuo padre?’. Rispose Gesù: ‘Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio’”. Alla fine Gesù rivela la sua vera “pretesa”: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono”, che è il nome di Dio. “Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui”.

 

Secondo Ratzinger l’interrogatorio di Pilato riguarda la Verità, cioè “Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze” 
 

 

Secondo Giovanni, come scrive nel suo grande libro Gesù di Nazaret Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, al momento di decidere la sorte di Gesù “sono riuniti insieme i capi dei sacerdoti e i farisei… a loro comune preoccupazione è: Verranno i Romani e ci toglieranno ‘il luogo’ [cioè il tempio]”. Aggiunge Ratzinger: “Può essere considerato verosimile, oggi, che nel caso del dibattimento contro Gesù davanti al Sinedrio non si sia trattato di un vero processo, ma di un interrogatorio approfondito, terminato con la decisione di consegnare Gesù al governatore romano per la condanna”. Ma c’era una seconda accusa: “La pretesa messianica è rivendicazione della regalità su Israele. Per questo ci sarà poi sulla croce anche l’espressione ‘re dei Giudei’”. La pretesa che Gesù pone non è soltanto “per i giudei”, ma per tutti. Pone il problema del riconoscimento della Verità, sfida ogni uomo a riconoscerlo o meno come Dio. 
Un vecchio articolo del filosofo René Girard, recentemente ripubblicato da Vita e Pensiero, analizza in modo originale questo aspetto: “I Vangeli dichiarano costantemente di portare nel mondo qualcosa che non è mai stato udito prima”. La domanda dell’acclamato rabbi Jeshua ben Yosef nel momento in cui sfida i suoi interlocutori, così come aveva sfidato i suoi, “e voi, chi dite che io sia?”, è una domanda che – secondo la lettura dei suoi seguaci – è rivolta non solo agi ebrei ma a tutti gli uomini. Del resto, poiché non sono gli ebrei ma i romani i responsabili della condanna a morte è cruciale ricordare che Gesù subì un secondo processo. E, racconta sempre Ratzinger, il drammatico confronto filosofico-politico con Pilato è anche una dimostrazione che Gesù pretende di giudicare tutto il mondo. Gesù dice a Pilato che è venuto per “dare testimonianza alla verità”. Scrive Ratzinger: “Significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Dio è la misura dell’essere… Possiamo anche dire che dare testimonianza alla verità significa: partendo da Dio, dalla Ragione creatrice, rendere la creazione decifrabile e la sua verità accessibile in modo tale che essa possa costituire la misura e il criterio orientativo nel mondo dell’uomo”. Con un potente salto filosofico, Ratzinger giunge a dire: “Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità”. Arriva ai giorni nostri, Ratzinger: “Dice ad esempio Francis S. Collins, che ha diretto lo Human Genome Project, con lieto stupore: ‘Il linguaggio di Dio era stato decifrato’. Sì davvero, nella grandiosa matematica della creazione, che oggi possiamo leggere nel codice genetico dell’uomo, percepiamo il linguaggio di Dio. Ma purtroppo non il linguaggio intero. La verità funzionale sull’uomo è diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo”. La domanda che rimane da duemila anni non è se avessero ragione i sadduccei o gli esseni, o i farisei. Ma chi fosse davvero quell’uomo. 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"