vaticano
Pace nella Chiesa e nel mondo. Il primo Natale di Leone XIV
Papa Prevost nella messa della Notte cita Benedetto XVI e Francesco, all'Urbi et orbi passa in rassegna le crisi globali
Tornano i saluti plurilingue al termine del Messaggio natalizio pronunciato alla Loggia delle Benedizioni. Molto teologica e "poetica" l'omelia della notte, il riferimento alle tende di Gaza in quella del giorno. Il tema delle fragilità umane e la pace "che esiste ed è già in mezzo a noi"
Roma. Dopo tredici anni, il Papa è tornato a rivolgere l'augurio natalizio in diverse espressioni linguistiche, pratica mantenuta fino all'ultima benedizione Urbi et Orbi di Benedetto XVI e abbandonata da Francesco. Ma Leone ha scelto una strada propria, all'insegna della – per così dire – moderazione: dieci lingue e non l'interminabile elenco di idiomi che metteva a dura prova perfino il globetrotter Giovanni Paolo II. Nel Messaggio, Leone XIV ha invocato “giustizia, pace e stabilità per il Libano, la Palestina, Israele, la Siria”, al “Principe della Pace” ha affidato “tutto il Continente europeo, chiedendogli di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare – ha detto – per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall’impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso”. E poi “pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre in atto nel mondo, specialmente di quelle dimenticate; e per quanti soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo particolare i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sud Sudan”, di Haiti, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo. Di Myanmar, Thailandia e Cambogia. Dell'America latina, “perché, nel far fronte alle numerose sfide, sia dato spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte”. “Nel farsi uomo – ha detto ancora il Papa – Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane”.
Il primo appuntamento è stato quello della messa nella notte. “Per millenni, in ogni parte della terra, i popoli hanno scrutato il cielo dando nomi e forme a stelle mute: nella loro fantasia, vi leggevano gli eventi del futuro cercando in alto, tra gli astri, la verità che mancava in basso, tra le case. (…) Ecco l’astro che sorprende il mondo, una scintilla appena accesa e divampante di vita. (…) Nasce nella notte Colui che dalla notte ci riscatta: la traccia del giorno che albeggia non è più da cercare lontano, negli spazi siderali, ma chinando il capo, nella stalla accanto”. E' stata profondamente teologica e “poetica” la prima omelia pronunciata da Leone XIV nella notte di Natale. Un testo quasi mistico che ha avuti pochi incisi “sociologici”, puntualmente ripresi come di consueto dai media alla ricerca di condanne al mondo cattivo. Per la cronaca, il Papa ha detto l'ovvietà, e cioè che “mentre un’economia distorta induce a trattare gli uomini come merce, Dio si fa simile a noi, rivelando l’infinita dignità di ogni persona. Mentre l’uomo vuole diventare Dio per dominare sul prossimo, Dio vuole diventare uomo per liberarci da ogni schiavitù”.
Ma ha detto anche altro: “Nel bambino Gesù, Dio dà al mondo una vita nuova: la sua, per tutti. Non un’idea risolutiva per ogni problema, ma una storia d’amore che ci coinvolge”. Ha citato i due immediati predecessori. Prima Benedetto XVI, le cui parole “così attuali” “ci ricordano che sulla terra non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo: non accogliere l’uno significa non accogliere l’altro. Invece là dove c’è posto per l’uomo, c’è posto per Dio: allora una stalla può diventare più sacra di un tempio e il grembo della Vergine Maria è l’arca della nuova alleanza”. Poi, Papa Francesco: esattamente un anno fa, nell'omelia d'apertura del Giubileo “affermava che il Natale di Gesù ravviva in noi 'il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta', perché 'con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia, con Lui la speranza non delude”.
Nella messa del Giorno, ripristinata dopo trentun'anni, Leone si è soffermato su pace e fragilità: “Poiché il Verbo si fece carne, ora la carne parla, grida il desiderio divino di incontrarci. Il Verbo ha stabilito fra noi la sua fragile tenda. E come non pensare alle tende di Gaza, da settimane esposte alle piogge, al vento e al freddo, e a quelle di tanti altri profughi e rifugiati in ogni continente, o ai ripari di fortuna di migliaia di persone senza dimora, dentro le nostre città? Fragile è la carne delle popolazioni inermi, provate da tante guerre in corso o concluse lasciando macerie e ferite aperte. Fragili sono le menti e le vite dei giovani costretti alle armi, che proprio al fronte avvertono l’insensatezza di ciò che è loro richiesto e la menzogna di cui sono intrisi i roboanti discorsi di chi li manda a morire”. Il fatto è che, ha aggiunto il Pontefice, “quando la fragilità altrui ci penetra il cuore, quando il dolore altrui manda in frantumi le nostre certezze granitiche, allora già inizia la pace. La pace di Dio nasce da un vagito accolto, da un pianto ascoltato: nasce fra rovine che invocano nuove solidarietà, nasce da sogni e visioni che, come profezie, invertono il corso della storia. Sì, tutto questo esiste, perché Gesù è il Logos, il senso da cui tutto ha preso forma”.
Cristiani in Cina