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il libro
L'occidente, la tradizione, il moderno. La lezione di Ratzinger
Sfidare la tradizione non è così difficile. Basta indicare la via del moderno che corre. Pubblichiamo la prefazione di Giuliano Ferrara al libretto “L’occidente vincerà” da oggi in edicola col Foglio
Su Ratzinger si sono accumulati equivoci che i suoi testi e i suoi atti teologici e pastorali spazzano via. Un papa debole, si è detto, invece il suo è sempre stato un progetto erculeo, come si capiva bene già dal celebre “Rapporto sulla fede” nell’epoca del suo cardinalato a fianco del predecessore, e il ciclo giovanpaolino e benedettino, perché i due papi furono per molti versi una cosa sola, è tra i più lunghi possenti e consequenziali della storia della chiesa.
Tutore della Tradizione e nemico della cultura moderna, è stato detto, e invece protesse il lascito dell’aggiornamento conciliare nell’unico modo possibile, distinguendo e mettendo in comunione tra preti e filosofi e popolo di Dio il possibile, scartando l’irrealistico, il caduco, lo sghembo. Come tutti i veri riformatori, fece i conti fino in fondo con la grande rottura illuminista dell’epoca moderna, senza soggiacere agli stereotipi e scavando nel profondo delle contraddizioni irrisolte del progetto di scristianizzazione del mondo e di insignorimento umano dell’esistente, con l’accantonamento del divino rivelato.
Sfidare la Tradizione non è così difficile. Basta richiamare il tempo e indicare la via del moderno che corre: la chiesa ha accumulato un ritardo di duecento anni, come diceva il cardinal Martini, sulla Rivoluzione Francese. Il moderno parla da sé, ci circonda, ci assedia, ci illumina, sembra facile e giudizioso darlo per scontato, è lì, pretende, rivendica, invoca una ragionevole comprensione, ha per sé i costumi prevalenti, la forza dell’abitudine e di istituzioni che si consolidano, penetra nei sentimenti collettivi, ispira accettazione e compassione, forgia l’individualità del desiderio e del libero esame delle cose, si serve della cultura con la forza strumentale della bellezza la più canonica, fa invecchiare gli usi e le procedure mentali di chi litiga con la storia, di chi è démodé, desueto, offre la visione della vita palpitante del romanzo, i caratteri mobili del cinema, si infiltra nella pratica del digitale, si fa Intelligenza Artificiale, luccica come l’oro anche quando produce fondamentalismo e violenza religiosa, e alla fine incanta.
Ciò che ha cercato di fare Benedetto XVI, o la sua controfigura laica che è il pensatore cristiano Ratzinger, è meno facile. La sua idea è che abbiamo bisogno di una critica della libertà. E nei testi qui raccolti tutto è chiaro, almeno da questo punto di vista. Sfida i luoghi comuni sulla divinità dei nostri tempi, l’autonomia, l’uomo come solo fondamento di sé. Ratzinger riflette sul rapporto della libertà con la volontà e con la verità, con il contenuto di ragione della volontà libera, un nucleo che è possibile e necessario condividere con tutti gli altri e che dunque supera l’assoluto dell’incondizionato. Puoi essere davvero libero, anche in senso moderno, anche nella tutela di diritti individuali e facoltà, se la tua inclinazione, il tuo desiderio, il tuo volere non hanno un contenuto razionale e non sono alla ricerca della verità oggettiva comune a tutti gli uomini? Ratzinger cita il celebre mito ideologico della Critica del Programma di Gotha e dell’ideologia tedesca, i testi in cui Karl Marx evoca l’uomo che fa quel che desidera dalla mattina alla sera, e niente di quanto non desideri, l’uomo libero figlio dell’estinzione di ogni apparato di stato e della stessa legge. Ratzinger riconosce che la libertà è seducente, mentre la verità ha un tono esclusivo, sta in uno spazio psicologico chiuso, capace di sollecitare la diffidenza dell’uomo che si vuole libero e soltanto libero. Ciò che è dato e rivelato e non costruito dalla mente dell’uomo contemporaneo postula la verità intorno alla quale si esercitò lo scetticismo di Pilato, la vera ideologia dell’ultima civiltà.
La Tradizione, per come la intende e la difende Ratzinger, evolve e muta pelle, sa che il moderno è per certi versi incontestabile, che l’Illuminismo ha vinto una battaglia d’epoca a suo modo definitiva occupando il centro della coscienza umana, e tuttavia il moderno non smette di essere un problema, la scienza non è una nuova Rivelazione, l’esperimento non è sostitutivo della fede o della visione o della dialettica delle idee, nessuna dottrina di redenzione è arrivata a prendere il posto di quella del cristianesimo originario e della storia e sviluppo della chiesa. Insomma il problema che nasce dall’irrazionale come esito del moderno, dalla schiavitù come sistema inverata nel comunismo di stato, dalle contraddizioni del capitalismo e del sistema liberale, oltre il confine della crisi ideologica e storica del socialismo. La questione che viene dall’insignificanza come stigma della vita morale e materiale si sporge verso l’abissale questione del rapporto tra libertà e verità attraverso il contenuto razionale della volontà. Questo è Ratzinger o almeno il nostro Ratzinger.