Tra fede e politica, l'entusiasmo del Libano per Papa Leone

Giornata intensa a Beirut per il Papa, che dal silenzio della grotta dove viveva l'eremita san Charbel passa alla folla dei giovani esultanti

Matteo Matzuzzi

Parlando di politica, Leone XIV spiega che la pace in Ucraina si otterrà mettendo attorno al tavolo Erdogan, Putin, Zelensky e Trump. Niente posto per l'Europa: non è una linea politica, ma il chiaro indizio di quanto sia poco rilevante ora Bruxelles

“Speriamo che il presidente Erdogan con il suo rapporto con il presidente dell’Ucraina, della Russia e degli Stati Uniti, possa aiutare a promuovere il dialogo, il cessate il fuoco e vedere come risolvere questo conflitto, questa guerra in Ucraina”. Leone XIV, elencando gli attori chiamati a fare qualcosa per porre fine alla tragedia ucraina, non cita l’Europa né alcuno dei suoi tanti leader impegnati ad accogliere Volodymyr Zelensky, a esprimergli solidarietà, a garantire che la sua battaglia non vedrà la sconfitta. Il Papa parlava a braccio, in aereo, mentre si trasferiva da Istanbul a Beirut: non è dunque una sentenza dogmatica né l’enunciazione della linea “politica” della Segreteria di stato. Eppure, anche implicitamente, fa capire che a giudizio della Santa Sede (o comunque del Papa) la guerra si concluderà se e quando il quartetto citato si siederà attorno allo stesso tavolo. E’ l’indicazione della irrilevanza europea sul dossier russo-ucraino. Una visione realista, direbbero gli esperti del ramo, confermata dalle lodi a Recep Tayyip Erdogan, non certo un emulo di Nelson Mandel a  – se proprio non si vuol citare i curdi, si chieda un parere all’ex sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che essendo suo oppositore rischia una condanna a duemila anni di carcere (non si sa mai) – che però è uno dei pochissimi che possono parlare liberamente con tutti e che  controlla il secondo esercito più numeroso della Nato.

 

Se con i giornalisti il Pontefice ha affrontato la dimensione “politica” della pace, con la moltitudine di giovani incontrati lunedì a Bkerké, davanti alla sede del patriarcato maronita di Antiochia, è tornato sulla dimensione cristocentrica emersa già nella sua prima omelia da Papa: “Mi avete chiesto dove trovare il punto fermo per perseverare nell’impegno per la pace. Carissimi, questo punto fermo non può essere un’idea, un contratto o un principio morale. Il vero principio di vita nuova è la speranza che viene dall’alto: è Cristo! Egli è morto e risorto per la salvezza di tutti. Egli, il Vivente, è il fondamento della nostra fiducia; Egli è il testimone della misericordia che redime il mondo da ogni male”. La giornata si era aperta con la visita alla tomba dell’eremita san Charbel, quindi l’incontro con la Chiesa libanese presso il Santuario di Nostra Signora del Libano, a Harissa. Prendendo la parola all’Incontro interreligioso in piazza dei Martiri, Leone ha parlato di dialogo, partendo dalla citazione dell’esortazione Ecclesia in Medio Oriente, firmata proprio a Beirut da Benedetto XVI nel 2012. Ratzinger scriveva che “la natura e la vocazione universale della Chiesa esigono che essa sia in dialogo con i membri delle altre religioni. Questo dialogo in Medio Oriente è basato sui legami spirituali e storici che uniscono i cristiani agli ebrei e ai musulmani. Questo dialogo, che non è principalmente dettato da considerazioni pragmatiche di ordine politico o sociale, poggia anzitutto su basi teologiche che interpellano la fede”. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.