in chiesa
La battaglia che attende Papa Leone
Papa Francesco limitò la celebrazione delle messe vetus ordo, di fatto sconfessando il motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI, per “promuovere la concordia e l'unità della Chiesa”. L'effetto, però, è stato l'opposto
Da una parte i tradizionalisti che pretendono la cancellazione delle restrizioni di Francesco, dall’altra chi vuole la soppressione della messa antica. È la liturgia il campo minato che dovrà attraversare Prevost
E’ uno dei campi più minati su cui, prima o poi, dovrà avventurarsi il pontificato di Leone XIV: il rapporto con il mondo tradizionalista e il destino del motu proprio di Papa Francesco Traditionis custodes, che di fatto ha sovvertito il provvedimento Summorum Pontificum di Benedetto XVI, autorizzante la celebrazione della messa secondo l’uso antico. Non a caso, nella prima intervista concessa in questi mesi, il Pontefice si è soffermato sulla questione, restando sul vago: non sa quel che farà, non capisce certe resistenze e certe rivendicazioni, teme un uso ideologico della messa vetus ordo – come gli hanno detto alcuni vescovi – ma al contempo comprende che una liturgia sciatta che ha trasformato non poche celebrazioni in show abbia avvicinato numerosi fedeli al rito secondo il messale di Giovanni XXIII. Non si contano le petizioni, le suppliche e le preci rivolte al Papa perché fermi – si legge – “la persecuzione” in atto.
E’ una battaglia molto mediatica che vede negli Stati Uniti il centro propulsore: è qui che, secondo analisi indipendenti, si è rilevato che la maggioranza netta del clero più giovane e dei fedeli è di orientamento conservatore, se non tradizionalista. Una minoranza, certo, anche a livello globale (lo dicono i numeri), ma particolarmente forte in certe zone del pianeta (in Europa è la Francia, ad esempio, a primeggiare) e di sicuro “rumorosa”: cifre incontrovertibili non esistono – come non ne esistono neppure sui “veri” praticanti domenicali alla messa di Paolo VI – ma secondo fonti tradizionaliste, i cattolici americani che partecipano con regolarità alla liturgia antica sono centomila. Il Pew Research Center ha rilevato che il 13 per cento dei cattolici statunitensi ha partecipato “almeno una volta” a una messa tradizionale negli ultimi cinque anni, anche se solo il due per cento vi partecipa settimanalmente. Un mondo che aveva esultato quando Leone XIV aveva concesso, senza neppure pensarci troppo a lungo, al cardinale Raymond Leo Burke di celebrare dopo tre anni di diniego la messa usus antiquior all’Altare della Cattedra della basilica vaticana in occasione del pellegrinaggio Summorum Pontificum, lo scorso ottobre. Qualcuno, però, pur apprezzando il gesto del Papa, temeva si trattasse di un contentino, di un episodio isolato che non avrebbe fatto da preludio alla cancellazione del motu proprio restrittivo di Francesco.
Nei giorni scorsi, una notizia in tal senso è giunta dall’Inghilterra, dove nell’ambito dei lavori dell’assemblea della locale Conferenza episcopale, il nunzio apostolico Miguel Maury Buendía ha detto che Leone XIV non intende sopprimere Traditionis custodes, ma che autorizzerà dispense biennali ai vescovi che ne faranno richiesta. Dispense che non sono una novità: fin da quando il motu proprio è entrato in vigore, il dicastero per il Culto divino ne ha concesse, seppure con molta prudenza e in casi circostanziati. Con la sottolineatura chiara che si trattava di eccezioni destinate prima o poi a cessare. Secondo quanto fatto intendere dal nunzio, invece, Prevost sarebbe più propenso ad allargare le maglie delle concessioni, rinnovando le dispense laddove possibile. La situazione appare in ogni caso confusa, anche perché quanto detto da Buendía rientrava in un discorso ben più ampio che non aveva come oggetto principale il destino delle messe vetus ordo. Leone XIV, sempre nell’intervista data in estate a Elise Ann Allen, aveva detto di voler dialogare con i favorevoli e i contrari, per capirne di più. Di certo, non pareva essere un atteggiamento ostile. Eppure, nella galassia mediatica, non pochi di quella realtà biasimavano le parole del Pontefice, ritenendo che l’unica soluzione accettabile fosse la soppressione delle disposizioni contenute in Traditionis custodes. Nessuna mediazione possibile, nessun compromesso: solo il ritorno al Summorum Pontificum di Benedetto XVI.
Una soluzione poco realistica, sia per l’indole di Leone che non pare portata a battere pugni sul tavolo o a terremotare la Chiesa con gesti eclatanti, sia perché appare utopistico che a sei mesi dall’elezione un Papa che di certo non è un “tradizionalista” possa sconfessare il predecessore su una materia così delicata e divisiva. Traditionis custodes, tra l’altro, non è stato firmato agli albori del pontificato di Francesco, ma nella sua seconda fase. Ed è tranchant nel sostenere che l’unica espressione della lex orandi del Rito romano è quella stabilita dopo il Vaticano II. Non solo: ripristina l’obbligo dei sacerdoti di chiedere e ottenere il placet del proprio vescovi per celebrare secondo la forma “straordinaria” e vieta ai presuli di costituire nuovi gruppi o parrocchie votate all’uso antico. Più un’altra serie di provvedimenti che, di fatto, ha l’unico scopo di rendere altamente complicato il riunirsi a celebrare secondo il vecchio messale. Secondo Papa Francesco, queste decisioni erano state adottate per “promuovere la concordia e l’unità della Chiesa”. L’effetto è stato l’opposto. Non ha smosso i cuori dei fedeli e non ha portato pace: semmai ha pietrificato le posizioni di chi è convinto d’essere perseguitato dalla Chiesa e non comprende perché, nella miriade di riti autorizzati, a essere punito sia solo quello che si rifà al messale di Giovanni XXIII. Analogamente, si è rafforzato nelle proprie posizioni chi vede in quelle realtà nient’altro che un residuo di un mondo ormai finito o, peggio, una mina ideologica posta sotto le fondamenta della Chiesa universale.