
il documento
La prima esortazione di Leone XIV è un gran tributo a Papa Francesco
Leone XIV premette all'inizio: "Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all'inizio del mio pontificato". Scorrendo le pagine, ciò è facilmente constatabile
Presentata "Dilexi te", "Ti ho amato". Dall'economia che uccide a Gesù migrante, il documento sull'amore verso i poveri ricalca le orme del pontificato bergogliano
Roma. E' stata presentata ieri la prima esortazione apostolica di Leone XIV, firmata lo scorso 4 ottobre. “Dilexi te”, “Ti ho amato”. Il testo, diviso in cinque capitoli e 121 paragrafi, è un lascito di Papa Francesco. Lo dice subito il suo successore: Bergoglio “stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un'esortazione apostolica sulla cura della Chiesa povera per i poveri (…) Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all'inizio del mio pontificato, condividendo il desiderio dell'amato predecessore che tutti i cristiani possano percepire il forte nesso che esiste tra l'amore di Cristo e la sua chiamata a farci vicini ai poveri. Anch'io infatti – scrive Prevost – ritengo necessario insistere su questo cammino di santificazione”.
Le riflessioni aggiunte sono evidenti, perché differiscono quanto a stile e argomento (più spirituale) rispetto alla maggior parte del testo, caratterizzato da tutti i punti salienti della predicazione di Papa Francesco sul tema della povertà. Lo si intuisce facilmente dalla mole di citazioni ai suoi documenti e ai suoi discorsi, che sopravanzano di gran lunga quelle dei predecessori (Benedetto XVI, che pure aveva scritto la Caritas in veritate, enciclica sullo sviluppo umano integrale nella cartà e nella verità”, è citato solo tre volte) o dei Padri della Chiesa. Torna il “memorabile intervento” del cardinale Giacomo Lercaro nella congregazione generale conciliare (6 dicembre 1962) – “Questa è l'ora dei poveri, dei milioni di poveri che sono su tutta la terra, questa è l'ora del mistero della Chiesa madre dei poveri, questa è l'ora del mistero di Cristo soprattutto nel povero” – e torna anche il riferimento alla “dittatura di un'economia che uccide” mentre “i guadagni di pochi crescono esponenzialmente” e “quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l'autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria”. C'è anche il riferimento alla “Chiesa che ha sempre riconosciuto nei migranti una presenza viva del Signore”, dato che “lo stesso Cristo ha vissuto in mezzo a noi come uno straniero”.Si ricorda anche “la foto di un bambino riverso senza vita su una spiaggia del Mediterraneo” e il riferimento è al piccolo Alan Kurdi, trovato morto su una spiaggia turca dopo un naufragio.
Intanto, al capitolo secondo, una precisazione essenziale per contestualizzare il tutto: la preferenza per i poveri “non indica mai un esclusivismo o una discriminazione verso altri gruppi, che in Dio sarebbero impossibili; essa intende sottolineare l'agire di Dio che si muove a compassione verso la povertà e la debolezza dell'umanità intera e che, volendo inaugurare un Regno di giustizia, di fraternità e di solidarietà, ha particolarmente a cuore coloro che sono discriminati e oppressi, chiedendo anche a noi, alla sua Chiesa, una decisa e radicale scelta di campo a favore dei più deboli”. E qui, ecco l'inserimento di Papa Leone, a ricordare che “in una Chiesa che riconosce nei poveri il volto di Cristo e nei beni lo strumento della carità, il pensiero agostiniano rimane una luce sicura. Oggi la fedeltà agli insegnamenti di Agostino esige non solo lo studio delle sue opere, ma la prontezza a vivere radicalmente il suo invito alla conversione, che include necessariamente il servizio della carità”. Qui c'è molto da dire e da appuntare perché “il fatto che l'esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione ecclesiale, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana. Non è possibile dimenticare i poveri, se non vogliamo uscire dalla corrente viva della Chiesa che sgorga dal Vangelo e feconda ogni momento storico”.
Una parte essenziale dell'esortazione è dedicata al “secolo della dottrina sociale della Chiesa”, il cui contributo “ha in sé questa radice popolare da non dimenticare: sarebbe inimmaginabile la sua rilettura della Rivelazione cristiana entro le moderne circostanze sociali, lavorative, economiche e culturali senza i laici cristiani alle prese con le sfide del loro tempo”. Da qui la sottolineatura che “il magistero degli ultimi centocinquant'anni offre una vera miniera di insegnamenti che riguardano i poveri”. Il primo capitolo, “Alcune parole indispensabili” è introduttivo e dà voce all'auspicio per “un cambio di mentalità che possa incidere a livello culturale”. Infatti, si legge, “l'illusione di una felicità che deriva da una vita agiata spinge molte persone verso una visione dell'esistenza imperniata sull'accumulo della ricchezza e sul successo sociale a tutti i costi, da conseguire anche a scapito degli altri e profittando di ideali sociali e sistemi politico-economico ingiusti, che favoriscono i più forti”. Il secondo capitolo (“Dio sceglie i poveri”) è sulla scelta preferenziale per i poveri, con una lunga digressione sulla “condizione sociale di Gesù”, il “Messia povero”: se fosse vivo, qui il cardinale Giacomo Biffi – che in più d'uno scritto sottolineò come “il look di Gesù fosse ben diverso da quello di Giovanni il Battista” e che la povertà andrebbe intesa in senso teologico più che sociologico – avrebbe probabilmente qualcosa da controbattere.
Il terzo capitolo (“Una Chiesa per i poveri”) si sofferma sulla consapevolezza “che la Chiesa riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente” e molto sinteticamente ricorda le parole di alcuni Padri della Chiesa sul fatto che nei poveri si trova “una via privilegiata di accesso a Dio, un modo speciale per incontrarlo”: san Giustino, san Giovanni Crisostomo, sant'Agostino, san Basilio Magno, sant'Ignazio di Antiochia, sant'Ambrogio e altri. Quindi si ripercorre la cura dei malati e dei poveri anche nella vita monastica, il ruolo di san Benedetto da Norcia, nonché l'educazione dei poveri e l'evidenza che “la santità cristiana spesso fiorisce nei luoghi più dimenticati e feriti dell'umanità”. Al quarto capitolo (“Una storia che continua”) ci si dilunga sul “secolo della dottrina sociale della Chiesa”, mentre il capitolo quinto e ultimo (“Una sfida permanente”) ricorda che “il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale: essi sono una 'questione familiare'. Sono 'dei nostri'. Il rapporto con loro non può essere ridotto a un'attività o a un ufficio della Chiesa”. E' qui che però si aggiunge un elemento ulteriore: al paragrafo 112, si legge che “talvolta si riscontra in alcuni movimenti o gruppi cristiani la carenza o addirittura l'assenza dell'impegno per il bene comune della società e, in particolare, per la difesa e la promozione dei più deboli e svantaggiati. A tale proposito, occorre ricordare che la religione, specialmente quella cristiana, non può essere limitata all'ambito privato, come se i fedeli non dovessero avere a cuore anche problemi che riguardano la società civile e gli avvenimenti che interessano i cittadini”. L'invito, poi, è a dare ai poveri una “attenzione spirituale” che “viene messa in discussione da certi pregiudizi, anche da parte di cristiani, perché ci sentiamo più a nostro agio senza i poveri”.
Un punto delicato dell'esortazione è il paragrafo 86, dove si cita la costituzione pastorale conciliare Gaudium et spes: sostenendo che “il Concilio ribadisce con forza la destinazione universale dei beni della terra e la funzione sociale della proprietà che ne deriva”, si deduce che “colui che si trova in estrema necessità ha il diritto di procurarsi il necessario delle ricchezze altrui. Ogni proprietà privata ha per sua natura una funzione sociale che si fonda sulla comune destinazione dei beni”. Poco contestualizzato, l'estratto si presta a interpretazioni le più varie e alle relative e attese contestazioni di quello che appare, aggiunte minimali a parte, un testo totalmente inseribile nel contesto del pontificato di Francesco.