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la santa sede

“Chi attacca gli ebrei attacca tutti noi”. In Germania Chiese unite contro l'antisemitismo

Mentre in Italia si parla molto di "genocidio" e di flottiglie, dal Papa a Parolin, è netto il richiamo contro le derive antisemite

Domenica scorsa, prima di recitare l’Angelus, il Papa è intervenuto sul dramma che vive il vicino oriente, dicendosi “addolorato per l’immane sofferenza patita dal popolo palestinese a Gaza”. Prima, però, ha espresso “preoccupazione per l’insorgenza dell’odio antisemita nel mondo, come purtroppo si è visto con l’attentato terroristico a Manchester, avvenuto pochi giorni fa”. La posizione di Leone XIV è chiara, anche in questi giorni in cui la parola universalmente dominante è “genocidio”, commesso dall’Idf nella Striscia di Gaza. Mentre in Italia si parla molto di flottiglie, altrove in Europa è l’antisemitismo a dominare il discorso pubblico. In Baviera, le Chiese hanno condannato l’antisemitismo come incompatibile con la fede cristiana. Il vescovo protestante Christian Kopp, partecipando alla manifestazione “Tetto contro l’odio” sulla Königsplatz di Monaco, ha detto che “chiunque attacchi gli ebrei attacca tutti noi”, aggiungendo che i cristiani saranno “al fianco dei nostri fratelli ebrei oggi e sempre”.

 

Analoghe le parole del vicario generale della diocesi cattolica, mons. Christoph Klingan, che ha invitato tutti a contrastare ogni forma di antisemitismo “con un atteggiamento chiaro, con coraggio civile, con solidarietà: bisogna agire qui e ora”. La manifestazione, promossa dal docente universitario Guy Katz e appoggiata dal primo ministro bavarese Markus Söder (leader della Csu), ha coinvolto duecento organizzazioni attive in Germania, Austria e Svizzera. Pesa la storia, certo, ma anche la convinzione che “gli ebrei qui hanno di nuovo paura, e questo è insopportabile”, ha detto il ministro federale della Cultura, Wolfram Weimer: “L’antisemitismo non è un’ombra del passato, ma è in mezzo a noi, nelle nostre strade, nelle nostre scuole e anche nelle attività culturali”. Qualche giorno fa, il vescovo di Hildesheim, mons. Heiner Wilmer, aveva osservato che “se gli ebrei non osano nemmeno dire di essere ebrei, allora in Germania abbiamo un problema con l’antisemitismo. Se gli ebrei non possono indossare una collana con una stella di David o una kippah senza essere molestati,  allora in Germania abbiamo un problema con l’antisemitismo. Se le persone devono temere di essere minacciate perché parlano ebraico negli spazi pubblici, allora in Germania abbiamo un problema con l’antisemitismo”. A fine luglio aveva fatto sentire la propria voce anche l’arcivescovo austriaco di Salisburgo, mons. Franz Lackner, che pur biasimando l’azione del governo di Benjamin Netanyahu, sottolineava che le manifestazioni in strada spesso connotate da episodi di violenza e guerriglia altro non sono che la “maschera dell’odio antiebraico travestito da critica a Israele”. Aggiungeva, mons. Lackner, che “un’Austria in cui si riferisce che agli ebrei viene negato l’accesso ai campeggi e il cibo nei ristoranti, in cui le loro tombe vengono profanate e le loro comunità minacciate, non può e non deve esistere. Non oggi, non domani, mai! Contro tutto ciò dobbiamo opporci con decisione come cristiani, ma anche come cittadini di questa società”. E in un’intervista pubblicata sull’ultimo numero dell’Osservatore Romano, in occasione del secondo anniversario del pogrom di Hamas, il cardinale Pietro Parolin affronta anche il tema dell’antisemitismo, definito “un cancro da combattere e da estirpare: c’è bisogno di uomini e donne di buona volontà, educatori che aiutino a comprendere e soprattutto a distinguere... Non possiamo dimenticarci di quanto è accaduto nel cuore dell’Europa con la Shoah, dobbiamo impegnarci con tutte le nostre forze perché questo male non rialzi la testa. Dobbiamo al tempo stesso – dice il segretario di stato – fare in modo che mai siano giustificati atti di disumanità e di violazione del diritto umanitario: nessun ebreo deve essere attaccato o discriminato in quanto ebreo, nessun palestinese per il fatto di essere tale deve essere attaccato o discriminato perché – come purtroppo si sente dire – ‘potenziale terrorista’. La perversa catena dell’odio è destinata a generare una spirale che non può portare nulla di buono. Spiace vedere che non si riesca a imparare dalla storia, anche recente, che resta maestra di vita”. Anche perché, ricorda il cardinale Parolin, “viviamo di fake news, della semplificazione della realtà. E ciò porta chi si alimenta di queste cose ad attribuire agli ebrei in quanto tali la responsabilità per ciò che accade oggi a Gaza. Lo sappiamo che non è così: ci sono anche tante voci di forte dissenso che si levano dal mondo ebraico contro la modalità con cui l’attuale governo israeliano ha operato e sta operando a Gaza e nel resto della Palestina”.

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