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Il Papa: "Nel breve termine avanti così con Pechino". Ma la ricostruzione in cinese del Vaticano dice altro
A rendere il quadro ancor più complesso vi è l'adozione di un nuovo codice comportamentale che regola le attività del clero sul web. Vietato evangelizzare online. Vietato raccogliere fondi finalizzati alla costruzione di luoghi di culto. Per operare sulle piattaforme internet, i membri del clero dovranno fornire prova d'appartenenza a una realtà religiosa riconosciuta dalle autorità e – ça va sans dire – garantire piena adesione ai princìpi cari a Xi Jinping
Nella versione pubblicata dai media vaticani, la sintesi è più edulcorata e del “breve termine” premesso da Prevost non c’è più traccia: “Il Papa ha promesso di continuare le politiche perseguite nel corso degli anni”. Fine
Che la risposta sulla Cina data da Papa Leone XIV nell’intervista alla giornalista Elise Ann Allen per il libro León XIV: ciudadano del mundo, misionero del siglo XXI (Penguin Perú) fosse quella più delicata lo si comprende dalla sintesi pubblicata dalla versione cinese di Vatican News, dove manca la cosa più importante, e cioè che il Pontefice seguirà “nel breve termine” la politica adottata dalla Santa Sede nei confronti di Pechino. I fatti, intanto. Domanda di Allen: “Un altro attore globale cui molti stanno guardando in termini di influenza è la Cina. Papa Francesco e molti suoi predecessori hanno adottato un approccio di Ostpolitik. Sa già quale sarà il suo approccio rispetto alla Cina?”. Risposta di Robert Prevost: “No. Direi che, nel breve termine, continuerò la linea che la Santa Sede ha seguito ormai da alcuni anni, e che è stata portata avanti da diversi miei predecessori. Non pretendo in alcun modo di essere più saggio o più esperto di tutti coloro che sono venuti prima di me. Sono anche in dialogo continuo con diverse persone, cinesi, da entrambe le parti di alcune delle questioni in gioco. Sto cercando di comprendere meglio come la Chiesa possa continuare la propria missione, rispettando sia la cultura sia le questioni politiche – che ovviamente hanno grande importanza – ma anche rispettando un gruppo significativo di cattolici cinesi che per molti anni hanno vissuto una sorta di oppressione o difficoltà nel vivere liberamente la propria fede, senza dover scegliere una parte. L’Ostpolitik, le scelte fatte per dire in modo realistico: ‘Questo è ciò che possiamo fare ora, andando verso il futuro’, le sto certamente prendendo in considerazione, insieme ad altre esperienze che ho avuto in passato nel rapportarmi con persone cinesi – sia nel governo che tra i leader religiosi e i laici. E’ una situazione molto difficile. Nel lungo termine, non pretendo di dire cosa farò o non farò, ma dopo due mesi ho già iniziato a intrattenere discussioni su più livelli su questo tema”.
Come appare evidente, Leone dà una risposta molto prudente ma che presenta qualche “problema” rispetto alla linea al momento dominante in Segreteria di stato: dice che per ora andrà avanti secondo i programmi già avviati, ma evidenzia quanto la situazione sia “molto difficile”. Non solo: ricorda che oltre alle mere “questioni politiche” e alla “cultura” (leggasi la “sinizzazione” definita inevitabile da diversi esponenti di rango nel corso del precedente pontificato), il suo pensiero va anche “al gruppo significativo di cattolici cinesi” perseguitato dal regime comunista, che è stato limitati nel “vivere liberamente la propria fede”.
Considerato tutto questo, il Papa dice di non sapere come si comporterà in futuro. Se non è un freno tirato, poco davvero ci manca. Una posizione che può determinare anche un irrigidimento da parte dei maggiorenti di Pechino. E infatti, nella versione in lingua cinese pubblicata dai media vaticani, la sintesi è assai più edulcorata e del “breve termine” premesso da Prevost non c’è più traccia: “Il Papa ha promesso di continuare le politiche perseguite nel corso degli anni”. Fine.
Diversi osservatori hanno notato la contraddizione tra i dubbi di Leone XIV sull’approccio verso Xi Jinping e la nomina pubblicata qualche giorno fa relativa al nuovo vescovo della diocesi di Zhangjiakou, salutata peraltro con “soddisfazione” in una dichiarazione del direttore della Sala stampa della Santa Sede. Una contraddizione apparente: nomina e parole del Pontefice risalgono a luglio, quando era stato eletto appena da due mesi. Tra l’altro, non è ben chiara la sorte del vescovo pensionato Agostino Cui Tai, riconosciuto ufficialmente dalle autorità comuniste ma costretto al riposo dopo un’eroica resistenza durata decenni, essendosi sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica del Partito, nonostante i numerosi arresti subiti nel corso degli anni. Secondo i comunicati ufficiali, durante la cerimonia di pensionamento, il vescovo avrebbe tenuto un discorso ricco di lodi al regime, sottolineando “l’importanza di sostenere il patriottismo e l’amore per la Chiesa, aderire ai princìpi dell’indipendenza e dell’autogestione della Chiesa, promuovendo la sinizzazione del cattolicesimo” in Cina e – addirittura – di dare il proprio contributo alla costruzione “di un paese socialista moderno e all’avanzamento globale del grande rinnovamento della nazione cinese”. Nessuno, ovviamente, ci crede. Se anche mons. Cui Tai avesse pronunciato tali parole (e secondo alcuni suoi famigliari ciò non è accaduto) di certo sarebbe stato costretto a farlo. Si parla di un vescovo che non si è piegato alla volontà del regime neppure in carcere. Strano che possa farlo ora, nel momento in cui viene sollevato dall’incarico con tanto di avallo vaticano. Secondo AsiaNews, si tratta di un’astuta mossa cinese: usare l’obbedienza di mons. Agostino Cui Tai per dividere la comunità “clandestina”, che infatti ha visto alcuni fedeli accusare il presule di pavidità. Inoltre, pubblicando il presunto discorso del vescovo, Pechino ancora una volta si mostra forte dinanzi a Roma, dimostrando che può piegare come e quando vuole le gerarchie ribelli senza che la controparte possa fare nulla. A rendere il quadro ancor più complesso vi è l’adozione di un nuovo codice comportamentale che regola le attività del clero sul web. Vietato evangelizzare online. Vietato raccogliere fondi finalizzati alla costruzione di luoghi di culto. Per operare sulle piattaforme internet, i membri del clero dovranno fornire prova d’appartenenza a una realtà religiosa riconosciuta dalle autorità e – ça va sans dire – garantire piena adesione ai princìpi cari a Xi Jinping. Va detto che questa non è una assoluta novità: già in passato il governo aveva varato analoghi provvedimenti per le religioni considerate “straniere” e in modo particolare per circoscrivere il “proselitismo protestante” che negli anni ha visto diversi arresti di persone che vendevano Bibbie o – più modestamente – riunivano in “punti di incontro” (anche un salone può essere un punto di incontro equiparabile a una chiesa) persone allo scopo di evangelizzarle. Le misure valevano soprattutto per le sette pentecostali, dedite a una predicazione apocalittica inconciliabile con il mantra dell’armonia cara al Politburo.