
LaPresse
L'analisi
Per capire la linea di governo di Papa Leone bisogna guardare i fatti, non le chiacchiere
Dobbiamo vedere come si muove e cosa fa, come si veste, dove abita e chi riceve. Un esempio su tutti: la recente visita del presidente dello stato di Israele Herzog
L’inizio di pontificato per Leone XIV, se pure apparentemente accolto con grandi entusiasmi, sembra non molto facile. Ci vuole calma e pazienza per destreggiarsi fra i mille scogli delle diverse correnti della Chiesa e dei loro volenterosi portavoce nei media, che cercano di tirarlo da tutte le parti, in molte affermando di continuo che il nuovo Papa non potrà comportarsi diversamente da Francesco perché “è scritto nel Vangelo”. Come se il vangelo non andasse ogni volta interpretato nel tempo in cui viviamo. Per capire qualche cosa della linea di governo di Leone bisogna invece guardare ai fatti, vedere come egli si muove e cosa fa, come si veste e dove abita, chi riceve. Dobbiamo guardare ad esempio alla recente visita a Roma del presidente dello stato di Israele Herzog, visita circondata da interpretazioni diverse, smentite, tensioni.
Per prima cosa, guardiamo ai fatti: Leone ha ricevuto un’ importante autorità politica israeliana, una cosa mai avvenuta durante il precedente pontificato. Anzi, non solo Francesco non ha mai ricevuto un emissario israeliano, ma ha resistito a lungo prima di incontrare a suo tempo una delegazione dei parenti degli ostaggi del pogrom del 7 ottobre, ricevendoli solo sei mesi dopo la strage, e in contemporanea con un certo numero di palestinesi che avevano parenti a Gaza. Anche se si trattava senza dubbio di vittime incolpevoli che chiedevano aiuto, aiuto che non hanno ricevuto. Assai raramente infatti, nelle sue dichiarazioni su Gaza, Francesco ha ricordato il tema della liberazione degli ostaggi, ma ha sempre deprecato duramente i bombardamenti israeliani. Quasi inconsapevole del fatto che la liberazione degli ostaggi da parte di Hamas molto probabilmente avrebbe portato alla fine della guerra che lui – giustamente – tanto deprecava.
Il solo fatto che, pochi mesi dopo la sua elezione, Leone abbia ricevuto Herzog è il segno di una posizione di equilibrio fra le parti, il segno che è cambiato qualcosa. Non solo: il papa ha anche ascoltato il capo di Stato israeliano per un tempo superiore a quello previsto, insomma sembra aver ascoltato anche le sue ragioni. Questo non vuol dire che le abbia condivise, certo, ma ha dato loro dignità: l’ascolto è sempre un segno di riconoscimento.
Certo, c’è stata una guerra di comunicati. E ancora: Herzog è stato invitato dal Papa o ha chiesto lui di essere ricevuto? Sulla questione mille speculazioni, tipo quella che l’ha interpretata come una chiamata al soglio pontificio per essere doverosamente rimproverato. Ma sta di fatto che nel comunicato emesso dalla Santa Sede, insieme e forse prima della richiesta agli israeliani di sospendere la guerra, viene menzionata la richiesta di restituzione degli ostaggi. Non è la prima volta: da quando c’è Leone ogni discorso di Pizzaballa e quasi sempre di Parolin sulla guerra di Gaza ricorda la restituzione degli ostaggi come condizione per la fine della guerra, anche se ormai in genere dell’argomento si preferisce non parlare quasi più dal momento che tutti preferiscono insistere sulle atrocità attribuite agli israeliani. Anche a noi osservatori è dunque richiesta pazienza e attenzione ai dettagli nell’interpretare il nuovo corso del pontificato.