
LaPresse
Non è andata bene la visita del presidente israeliano in Vaticano
Iniziata male, la visita di Isaac Herzog in Vaticano è finita pure peggio. I comunicati divergenti
Nella sua Nota, il leader israeliano non accennava né a Gaza né alla Cisgiordania. Niente da dire sul rispetto del diritto umanitario o sull’attacco contro la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City. Il tutto mentre il consueto comunicato della Santa Sede tardava. Solo dopo pranzo è stata diffusa la Nota ufficiale che corregge le dichiarazioni del presidente israeliano.
L’annunciata visita del presidente israeliano Isaac Herzog in Vaticano è iniziata male ed è finita peggio. Intanto, l’incidente diplomatico sfiorato alla vigilia: l’ufficio di Herzog diffondeva un comunicato in cui sosteneva che si recava a Roma su invito del Papa, costringendo la Santa Sede a precisare – nero su bianco – che il Pontefice riceve volentieri chi chiede di essere ricevuto e non manda a chiamare i propri ospiti. Così vuole la prassi e il buon senso. Poi, il cortocircuito dei comunicati diffusi ieri dalle due Parti al termine dell’udienza. Il primo, quello di Herzog, che uscito dal Palazzo apostolico ha ringraziato il Papa “per la calorosa accoglienza”, sottolineando che “Israele si sta impegnando in ogni modo possibile per riportare a casa gli ostaggi tenuti in brutale prigionia da Hamas. Israele anela al giorno in cui i popoli del medio oriente – i Figli di Abramo – vivranno insieme in pace, collaborazione e speranza. Tutti i leader di fede e di buona volontà devono unirsi nel chiedere l’immediato rilascio degli ostaggi, come primo e fondamentale passo verso un futuro migliore per l’intera regione. Lo Stato di Israele si impegna a garantire la libertà religiosa per tutte le fedi ed è determinato a continuare a lavorare per la pace, la tranquillità e la stabilità in tutta la regione. Israele – aggiungeva Herzog – è orgoglioso della sua comunità cristiana e si impegna a garantire la sicurezza e il benessere delle comunità cristiane in Terra Santa e in tutto il medio oriente”.
Ancora, proseguiva il presidente israeliano, “l’ispirazione e la leadership del Papa nella lotta contro l’odio e la violenza, e nella promozione della pace nel mondo, sono preziose e vitali. Non vedo l’ora di approfondire la nostra cooperazione per un futuro migliore di giustizia e compassione”. Nessun accenno a Gaza né alla Cisgiordania, niente da dire sul rispetto del diritto umanitario. Nulla sull’incidente – “errore di tiro” secondo Benjamin Netanyahu – dello scorso luglio, con l’attacco contro la parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City. Il tutto mentre il consueto comunicato della Santa Sede tardava. Solo dopo pranzo è stata diffusa la Nota ufficiale, insolitamente lunga e dettagliata, che di fatto corregge le dichiarazioni del presidente israeliano. Intanto, si precisa, “nel corso dei cordiali colloqui con il Santo Padre e in Segreteria di stato, è stata affrontata la situazione politica e sociale del medio oriente, dove persistono numerosi conflitti, con particolare attenzione alla tragica situazione a Gaza. Si è auspicata una pronta ripresa dei negoziati affinché, con disponibilità e decisioni coraggiose, nonché con il sostegno della comunità internazionale, si possa ottenere la liberazione di tutti gli ostaggi, raggiungere con urgenza un cessate-il-fuoco permanente, facilitare l’ingresso sicuro degli aiuti umanitari nelle zone più colpite e garantire il pieno rispetto del diritto umanitario, come pure le legittime aspirazioni dei due popoli”. Quindi, “si è parlato di come garantire un futuro al popolo palestinese e della pace e stabilità della regione, ribadendo da parte della Santa Sede la soluzione dei due stati, come unica via d’uscita dalla guerra in corso. Non è mancato un riferimento a quanto accade in Cisgiordania e all’importante questione della Città di Gerusalemme”.
Infine, “si è convenuto sul valore storico dei rapporti tra la Santa Sede e Israele e sono state affrontate anche alcune questioni riguardanti i rapporti tra le autorità statali e la Chiesa locale, con particolare attenzione all’importanza delle comunità cristiane e al loro impegno in loco e in tutto il medio oriente, a favore dello sviluppo umano e sociale, specialmente nei settori dell’istruzione, della promozione della coesione sociale e della stabilità della regione”. Tutti temi molto cari alla Chiesa latina di Gerusalemme, che da tempo (anche attraverso la Custodia di Terra Santa) denuncia un peggioramento nelle relazioni con le autorità governative. Insomma, non proprio in linea con “l’orgoglio” manifestato da Herzog per la presenza delle comunità cristiane in Israele.
Rispetto ai mesi scorsi, quando il governo israeliano salutava con favore e sollievo l’elezione del Papa americano dopo il gelo con Francesco (non si contano le note dell’ambasciata israeliana presso la Santa Sede in protesta con affermazioni del Pontefice o di qualche alta autorità curiale), pare evidente che quell’afflato si sia un po’ spento. Nonostante avesse denunciato l’escalation nella Striscia richiamando al rispetto del diritto umanitario e internazionale – al termine di un Angelus parlò di “attacco dell’Idf” contro la chiesa cattolica di Gaza –, Leone XIV si è sempre mantenuto molto prudente nell’esprimere giudizi tranchant che potessero pregiudicare la possibile mediazione della Santa Sede nel conflitto in corso. Anche una settimana fa ha richiamato alla necessità di liberare gli ostaggi trattenuti nei tunnel dai terroristi di Hamas, mentre una diffusa narrazione anche ecclesiastica ha sempre più dimenticato quel che è accaduto il 7 ottobre 2023. Però, pare dire il comunicato vaticano, tutto ha un limite: e l’escalation in Cisgiordania pare un punto di non ritorno anche per l’equilibrio della diplomazia d’oltretevere.