
Foto ANSA
una lingua di spirito e verità
La sobria svolta comunicativa di Leone coi giovani di Tor Vergata
Stop ai papati pop. Niente show e giovanilismi, ma la forza tranquilla di avvicinare i giovani ai gesti cristiani, per parlare di fede senza badare alle telecamere
La fotografia di Leone XIV che dal finestrino dell’elicottero guarda la moltitudine di giovani nella spianata di Tor Vergata è destinata a restare nella top ten del Giubileo, ma non è in realtà una novità assoluta, c’è una foto identica di Giovanni Paolo II al Giubileo del Duemila. Continuità e discontinuità sono parole di poco senso per la Chiesa, anche a livello mediatico. In quella continuità di modi e gesti lunga 25 anni è però innegabile che sotto il profilo della comunicazione – e della gestione dei “GEV”, i Grandi eventi vaticani di cui le GMG sono prototipo, croce e delizia – il weekend di Papa Prevost abbia tracciato un sottile confine. Che nemmeno le polifonie del Volo sono riuscite a violare. E non perché dopo il Papa padrone dei media, dopo il timido professore, dopo il gesuita callejero è arrivato un figlio di Agostino che i giornali tentano meccanicamente di incasellare nell’aggettivo “mite”. Ma perché la veglia eucaristica da lui guidata sabato sera e la messa il giorno dopo (“la messa è il più grande dono che Cristo ci ha lasciato, la sua stessa presenza reale”) hanno avuto un tono nuovo, sobrio e spirituale, che ha fatto evaporare le formule trite della “Woodstock cattolica”.
I giornali hanno puntato i titoli sui “ragazzi di Gaza e di Kyiv” e ovviamente sono parole del Papa, ma non erano pace e politica il tema. Il Papa matematico ha detto dell’algoritmo che “quando lo strumento domina sull’uomo, l’uomo diventa uno strumento: sì, strumento di mercato, merce”, ma non era una lezione di cyberteologia. Come ha notato sul Mattino Paolo Pombeni, storico bolognese ma non di scuola bolognese, si è visto piuttosto “un ritorno al primato della situazione umana sulla situazione sociale”. La semplicità dei gesti, l’assenza di coreografie in favore di telecamere come non si vedeva da tempo.
Niente show e giovanilismi. Non il problema di avvicinarsi al linguaggio dei giovani, ma la forza tranquilla di avvicinare loro ai gesti cristiani. Il nucleo della Veglia sono stati quei lunghi minuti di adorazione eucaristica silenziosa che hanno indotto al silenzio partecipe un milione di giovani, e zittito per un attimo persino i commentatori della Rai. Il Papa che ha già stupito, o sconvolto, molti perché canta il Regina Caeli in latino ha voluto un prezioso ostensorio, conservato nella Cappella dell’Adorazione perpetua della parrocchia di Sant’Antonio Abate a Torino, davanti al quale hanno pregato Pier Giorgio Frassati, futuro santo indicato come modello ai giovani, e san Giovanni Bosco, apostolo dei giovani. Inevitabilmente è partito il gioco delle parti tra chi ha plaudito alla cancellazione dello stile pop di Francesco e quelli impegnati a difendere gli elementi di continuità. Ma è ovviamente senza senso imputare a Papa Francesco un modello comunicativo che invece viene da lunghi decenni. I decenni in cui la Chiesa, o almeno gli entourage cerimoniali e coreografici vaticani, hanno tentato (disperatamente, si direbbe dagli esiti) di trovare in una sorta di modello chiesa-generalista i tasti per attirare i giovani. Una sola grande chiesa da Che Guevara a Madre Teresa. C’è un’immagine di umanità straziante e inconsolabile della difficoltà che la Chiesa moderna ha nel rapportarsi all’estetica del moderno. Non era una GMG, era il congresso eucaristico di Bologna del 1997. Con annesso concerto-show alla presenza del Papa.
L’immagine è quella di Michel Petrucciani che prova ad avvicinarsi a Giovanni Paolo II per salutarlo, ma le sue piccole gambe di vetro non ce la fanno. Anche il Papa, seduto, vorrebbe alzarsi ad abbracciarlo, ma è già un po’ impedito dalla sua malattia a scendere i gradini. Un abbraccio a distanza, struggente, impossibile. Testimonianza di una grande spiritualità, di entrambi, che un evento religioso-show non poteva però contenere. Poi venne un Papa professore che gli eventi giovanili di massa ha subìto con docilità come un martirio, in docilità più che dominato, e il Papa popolare che a tratti è sembrato l’officiante di una continua fiesta mobile.
Papa Leone è agostiniano, e come il suo santo inquieto di cui è fedele rappresentante (“inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te”) a un milione di giovani ha parlato con una lingua di spirito e verità, più che di emotività: “Non allarmiamoci se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti”. Le telecamere c’erano, hanno visto e udito. Ma non erano loro il principale destinatario di un gesto che non aveva bisogno di travestirsi da evento.