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canti e preghiere
Regina Caeli e Feliz Navidad. Leone, il Papa che cantando prega due volte
A differenza di Francesco, il Pontefice ama cantare e non ha mai nascosto questa sua sensibilità, evidente sin dai primi giorni di pontificato. Buone speranze per il ritorno in chiesa della musica sacra
Lo si è intuito quando, l’11 maggio scorso, ha intonato in una Piazza San Pietro gremita di fedeli il canto del Regina Caeli: voce coraggiosa, intonazione abbastanza precisa, assenza di inflessioni emozionali – segni di un’educazione musicale solida quanto quella spirituale. Agostiniano, cresciuto nel motto “chi canta prega due volte”, Leone XIV è un Pontefice che ama cantare e non ha mai nascosto questa sua sensibilità, evidente sin dai primi giorni di pontificato.
In quello di Francesco la musica ha avuto un ruolo marginale; rarissimi i concerti e mai sentito intonare una nota. Il Papa stesso lo ammise al 40esimo Congresso internazionale dei Pueri Cantores del 2015: “Se io cantassi, sembrerei un asino, perché non so cantare. Neppure so parlare bene, perché ho un difetto nella fonetica […] ma mi piace tanto sentir cantare”.
Benedetto XVI, al contrario, costruì – per usare un’iperbole – una vera “teologia della musica” strettamente legata alla liturgia che non è uno show ma la possibilità di vivere il mistero del Sacro. La musica e il canto – ha ricordato spesso Benedetto XVI – devono favorire la partecipazione vera e attiva dei fedeli senza preoccuparsi dell’effimero. Appena salito al soglio pontificio, in rete girava un video che mostrava l’allora arcivescovo Prevost intonare “Feliz Navidad” con una band di giovani di Chiclayo: un momento di festa, organizzato per scambiarsi gli auguri di Natale dove il prelato sembrava compiaciuto dalla sua stessa performance.
Oggi, nelle celebrazioni da lui presiedute, Leone XIV intona spesso le parti fisse della messa e invita i diaconi a fare lo stesso; attribuisce inoltre al coro – quello della Sistina o altri complessi che intervengono in occasioni solenni – non solo il compito di accompagnare, ma anche quello di creare ordine, rispondendo direttamente al celebrante, guidando i fedeli nella partecipazione comunitaria.
Il 18 giugno scorso, intervenendo all’evento promosso dalla Fondazione Domenico Bartolucci in occasione dei cinquecento anni dalla nascita di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Papa Leone ha definito il grande compositore ceciliano “uno dei promotori più importanti della musica sacra, per la gloria di Dio e l’edificazione dei fedeli”. Nello stesso incontro, ha esaltato la polifonia come “forma musicale carica di significato, essenziale per la preghiera e la vita cristiana”.
Nella scelta del nome, infine, si sono chiarite – forse senza che molti se ne accorgessero – le linee programmatiche ispirate a Leone XIII, che tra il 1878 e il 1903 emanò il Regolamento per la musica sacra, “nell’intento di apportare un efficace rimedio ai gravi abusi introdotti nella musica sacra in varie chiese d’Italia”. Oggi, più di un secolo dopo, quegli abusi persistono: celebrazioni penalizzate da esibizioni improvvisate, che mantengono un livello musicale piuttosto basso dove protagonisti sono chitarre scordate, tamburi o preti che non hanno mai superato la ferita di non essere diventati membri dei “Ricchi e Poveri”.
Qualche tradizionalista imputa al Santo Padre di confondere “tono A e tono B” del canto Gregoriano. Particolari, che non nascondono un cambio di passo che fa bene sperare (citando Riccardo Muti) che con Leone “la musica sacra ritorni in chiesa” perché questa possa insegnare non solo a cantare ma anche a fare silenzio.