
foto LaPresse
La forza tranquilla di Papa Leone XIV
Poche nomine di peso, tanto ascolto e governo solido. Al centro, la Segreteria di stato. I rimandi di Papa Prevost a Paolo VI
Se c’è un modello cui Leone pare ispirarsi, nel governo, è Paolo VI. Lo ha citato più volte, proprio parlando alla Segreteria di stato: “Negli ultimi decenni, queste due dimensioni – essere incarnati nel tempo e avere uno sguardo universale – sono diventate sempre più costitutive del lavoro curiale”.
Roma. E’ passato più di un mese dall’elezione e di nomine importanti, in questi primi trenta giorni di pontificato, non ne sono arrivate. Probabilmente accadrà presto, ma la fase di studio così prolungata indica che Leone XIV intende ponderare bene ogni sua scelta prima di decidere. Tutti sono confermati finché non si provveda altrimenti, cioè provvisoriamente. Nessuno ha finora avuto il timbro per andare avanti almeno fino al termine del mandato quinquennale. Ancora più indicativo è che il Papa non abbia scelto il proprio successore alla guida del dicastero per i Vescovi. E’ uno stile di governo in netta discontinuità rispetto a quello di Francesco: se quest’ultimo era sovente impulsivo e agiva senza buttare un occhio al Codice di diritto canonico – valga per tutti la nomina della pur competente suor Raffaella Petrini a governatore della Città del Vaticano, annunciata in tv da Fabio Fazio quando le norme in vigore prevedevano per quella carica potesse concorrere solo un cardinale – Prevost soppesa anche le virgole. Lo sa bene chi ha avuto a che fare con lui nell’ultimo biennio, quando si trattava di provvedere alla vacanza di qualche diocesi rimasta senza vescovo: ogni candidato veniva valutato con scrupolo e la terna presentata al Papa non di rado conteneva nomi meritevoli ma non in linea con l’orientamento vigente (a Santa Marta e al dicastero). Leone XIV parla fin dalla sua prima apparizione sulla Loggia delle Benedizioni di unità e per perseguire tale obiettivo intende ascoltare tutti. Ha già rovesciato la logica dell’uomo solo al comando. L’ha fatto la scorsa settimana, inserendo nel discorso alla Segreteria di stato un passaggio a braccio significativo: “Non è nel testo, però dico molto sinceramente che in queste poche settimane – ancora non siamo a un mese del mio servizio in questo ministero petrino –, è evidente che il Papa da solo non può andare avanti e che ci vuole, è molto necessario, poter contare sulla collaborazione di tanti nella Santa Sede, ma in una maniera speciale su tutti voi della Segreteria di stato”. La Segreteria di stato che dal 2013 in poi è stata non di rado marginalizzata, torna al centro: “Tramite il costante e paziente lavoro della Segreteria di stato, intendo consolidare la conoscenza e il dialogo con voi e con i vostri paesi”, aveva detto nell’udienza al Corpo diplomatico. Se c’è un modello cui Leone pare ispirarsi, nel governo, è Paolo VI. Lo ha citato più volte, proprio parlando alla Segreteria di stato: “Negli ultimi decenni, queste due dimensioni – essere incarnati nel tempo e avere uno sguardo universale – sono diventate sempre più costitutive del lavoro curiale”.
“Su questa strada – ha aggiunto il Papa – siamo stati indirizzati dalla riforma della Curia romana portata avanti da san Paolo VI il quale, ispirandosi alla visione del Concilio Vaticano II, ha sentito fortemente l’urgenza che la Chiesa sia attenta alle sfide della storia, considerando ‘la rapidità della vita d’oggi’ e ‘le mutate condizioni dei nostri tempi’. Al contempo, egli ha ribadito la necessità di un servizio che esprima la cattolicità della Chiesa, e a tal fine ha disposto che ‘coloro che sono presenti nella Sede Apostolica per governarla, siano chiamati da tutte le parti del mondo’. L’incarnazione, quindi, ci rimanda alla concretezza della realtà e ai temi specifici e particolari, trattati dai diversi organi della Curia; mentre l’universalità, richiamando il mistero dell’unità multiforme della Chiesa, chiede poi un lavoro di sintesi che possa aiutare l’azione del Papa. E l’anello di congiunzione e di sintesi è proprio la Segreteria di stato. Infatti, Paolo VI – espertissimo della Curia romana – ha voluto dare a tale Ufficio un nuovo assetto, di fatto costituendolo come punto di raccordo e, quindi, stabilendolo nel suo ruolo fondamentale di coordinamento degli altri dicasteri e delle istituzioni della Sede Apostolica”. Sono molte le citazioni montiniane che Leone XIV sta facendo in queste settimane, rimanda sovente a discorsi programmatici di Paolo VI. Quasi che l’unità tanto auspicata possa ritrovarsi tornando alla sorgente, per superare le infinite discussioni su Concilio e post Concilio. Lui che il Concilio non l’ha vissuto neanche per sentito dire (quando si concluse, nel 1965, aveva dieci anni), potrebbe essere il Papa che in nome dell’unità chiude l’eterna e sfinente fase di tensioni e interpretazioni. Di certo, è uomo di governo, il primo dopo Montini. Giovanni Paolo II era proiettato fuori dai palazzi curiali, impegnato nella battaglia apocalittica per liberare il mondo dal comunismo; Benedetto XVI, professore e teologo, s’era affidato al suo segretario di stato; di Francesco s’è detto. Leone XIV è uomo solido, animato da una forza tranquilla capace di imbastire un pontificato di ordinata continuità rispetto al recente passato. Che è poi quello che chiedeva la maggioranza dei cardinali entrando in Sistina.