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Il Papa già strattonato per la talare

Leone XIV è stato eletto solo venti giorni fa, ma la gara forsennata a portarlo dalla propria parte anima fazioni, social e perfino qualche uomo di Chiesa

Matteo Matzuzzi

Prevost non sarà uomo di rottura, semmai di ricomposizione: l’ha detto lui stesso, “unità e amore”. Unità della e nella Chiesa. Chi pensa a rese di conti da O.K. Corral resterà deluso. Quanti attendono rivoluzioni immediate e sovvertimenti rapidi della struttura curiale saranno costretti a riporre sogni e speranze nei cassetti

Non sapendo pressoché nulla di Robert Francis Prevost, da venti giorni è in corso una gara, ora più lenta ora più forte, a tirarlo per l’intonsa talare. Ogni suo discorso viene passato ai raggi X alla stregua della Sindone, si contano su blog e siti specializzati – non per modo di dire – i riferimenti ai predecessori: ha citato Francesco un giorno sì e l’altro pure, Benedetto XVI una o due volte, gli altri una ciascuno. Il discorso sulla dottrina sociale della Chiesa è in continuità o in discontinuità? Ha parlato di poveri e quindi è in continuità. Ha cantato il Regina Coeli, quindi è in discontinuità con il predecessore. Senza, naturalmente, parlare di mozzette e rocchetti e stole papali (e le scarpe rosse, dove sono? E lo stemma sulla fascia?). Leone XIV come il povero Benedetto XV, quello che durante la Prima guerra mondiale veniva strattonato da una parte e dall’altra e lui, rimasto in mezzo, veniva poi insultato da tutti: “Der französische Papst”, il “Papa francese”, per i tedeschi; “le Pape boche”, il Papa “crucco”, per i  francesi. Gli italiani puntarono su un più diretto “Maledetto XV”.

 

A Prevost, per fortuna, non va ancora così. Il suo pontificato in erba, però, è guardato con viva attenzione da una parte e dall’altra: si attendono i segnali, si osservano i frutti per capire di che pasta è fatto l’albero. E’ anche il risultato del pontificato di Francesco e della scossa che ha dato alla Chiesa per dodici anni. I processi avviati che attendono maturazione e sviluppo, le scelte singolari, gli interventi canonistici e un modo di intendere il papato  del tutto originale rispetto a  quel che c’era stato prima. Leone XIV, dai suoi primi gesti, pare voler rispondere alla principale richiesta emersa nelle riunioni cardinalizie: rimettere ordine e dare stabilità a una Barca troppo usurata dai marosi nei quali è stata immersa dal 2013. Pragmatico e taciturno, ha ripristinato i segni visibili dell’Istituzione, ha incontrato i vertici curiali e ha chiarito che non sarebbe male sparire per lasciare il palcoscenico a Cristo. Una frase, detta per altro il giorno dopo l’elezione, che vale un’enciclica o un intero programma di governo. Però la corsa a portarlo dalla propria parte continua, in attesa di capire di più dalle nomine, che diranno molto sulla direzione intrapresa. 

   

Anche se potrebbe, in nome dell’unità, tenere dentro un po’ tutti, come fece Ratzinger una volta asceso al Soglio: c’era Burke, certo. Ma c’era anche Kasper. Ut unum sint. I fronti – perché tali sono stati negli ultimi anni, checché ne dicano le narrazioni ireniste – puntellano le proprie brecce malmesse e assicurano da un lato la piena continuità e dall’altra avvertono  sull’esigenza di cambiare. Ci sono allora cardinali che fin dalla cena post elezione dell’8 maggio hanno domandato al Pontefice la testa del prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, Víctor Manuel Fernández, e porporati che in interviste plurilingue hanno assicurato che il nuovo Papa non ha intenzione di tornare indietro sulla sinodalità, con tanto di curiosa  lettera della Segreteria generale del Sinodo che ricordava a Leone quanto è stato fatto finora e quanto dovrà essere fatto. 

  

L’anima conservatrice, ridotta nei numeri ma combattiva, inizia in certi suoi rivoli a lamentare un po’ di insofferenza: attenuato l’effetto del ritorno della mozzetta, vede troppi riferimenti a Francesco nei discorsi leonini e poca “chiarezza” dottrinale. Martedì, poi, è stato sottoposto a un’ecografia social il profilo del nuovo presidente della Pontificia accademia per la vita, Renzo Pegoraro. Non sapendo niente di questo bioeticista padovano, si sono andate a ripescare sue vecchissime interviste sui più disparati temi dello scibile umano, con focus su “aborto”, “eutanasia”, “Charlie Gard”, deducendone che in qualche caso è favorevole alla contraccezione e che per lui quello di Charlie Gard era accanimento terapeutico. E poi, naturalmente, era il numero due di mons. Vincenzo Paglia e in questi anni non s’è mai ribellato (ah, l’obbedienza…). Che poi fosse stato messo lì da Benedetto XVI e che sia descritto pressoché unanimemente come persona capace, saggia ma rispettosa dell’autorità (come dovrebbero essere i sottoposti, ancor più nella Chiesa “santa Madre gerarchica”), rileva poco. 

  

Leone XIV non sarà uomo di rottura, semmai di ricomposizione: l’ha detto lui stesso, “unità e amore”. Unità della e nella Chiesa. Chi pensa a rese di conti da O.K. Corral resterà deluso. Quanti attendono rivoluzioni immediate e sovvertimenti rapidi della struttura curiale saranno costretti a riporre sogni e speranze nei cassetti. Dall’altra parte, se è prevedibile una continuità di fondo con i grandi temi del pontificato di Francesco – il cardinale Prevost era uno dei suoi principali collaboratori, dopotutto, e chi l’ha lanciato in Conclave non era certo “antibergogliano”, particolare che nella narrazione postelettorale sovente viene dimenticata, quasi fosse stato eletto un reazionario ottocentesco – è improbabile che l’avanzata avverrà con lo stesso passo  del predecessore. La caratteristica che sembra dominare Leone è una certa e ben visibile forza tranquilla. Riservatezza e ascolto, sì, come raccontano i ritratti dominanti. Ricordando sempre, però, che “con voi sono cristiano e per voi vescovo”. Un “e” che in qualche caso potrebbe pure diventare un “ma”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.