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Di Leone in Leone

Un Papa Leone per le cose nuove di questo tempo. Parla Flavio Felice

Carlo Marsonet

Prevost Papa in “un occidente plasmato dall’agostinismo”. Intervista all'ordinario di Storia del pensiero politico all’Università del Molise, presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e studioso di Dottrina sociale della Chiesa

Come ci si poteva aspettare, l’elezione del nuovo Papa ha già portato con sé un profluvio di commenti volti a incasellarlo in questa o quella categoria. Quello che si può forse dire è che, rispetto a Francesco, Leone XIV sembra avere un’indole diversa, più paziente e conciliatrice. A ogni modo, proviamo a capire qualcosa del nuovo Pontefice, e delle sfide che lo aspettano, insieme al prof. Flavio Felice, ordinario di Storia del pensiero politico all’Università del Molise, presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e studioso di Dottrina sociale della Chiesa.Cosa potremmo aspettarci da “un figlio di sant’Agostino”? Un ritorno alla centralità di temi più strettamente religiosi? “Non penso che nel Magistero sociale di Papa Francesco i temi religiosi siano rimasti nascosti, piuttosto direi che Papa Bergoglio abbia voluto declinare alcuni aspetti della teologia della creazione, come ad esempio la cura per la casa comune, in un linguaggio che ha preso di petto una delle vertenze più urgenti dell’attuale dibattito pubblico: l’ecologia integrale”. 


“Ricordo – dice Flavio Felice – che Francesco ha messo al centro del suo magistero ‘l’ecologia integrale’ e non l’ambientalismo. Papa Leone sarà sicuramente se stesso, in continuità con il suo predecessore, così come Francesco lo è stato rispetto al magistero di Giovanni Paolo II, il quale aveva trattato il tema dell’ecologia morale e ambientale e di Benedetto XVI che era già intervenuto sui temi ambientali, ma lo farà con il proprio stile e con la spiritualità che gli è propria, essendo lui un ‘figlio di Sant’Agostino’. Agostino ci ha lasciato un favoloso affresco di un profondo cambiamento d’epoca: il crollo dell’Impero romano e l’inizio di una nuova èra. Ci ha ricordato che la storia degli uomini narra le vicende della civitas hominum, irriducibile alla Civitas Dei. Ci ha insegnato che la pace, nella civitas hominum è la tranquillitas ordinis, una disposizione del cuore che è un dono di Dio, nutrita dalla preghiera e implementata, sempre in maniera imperfetta, dall’azione delle persone che scelgono di intraprendere le tante via istituzionali della carità: la politica è una di queste vie”.


Robert Francis Prevost ha scelto un nome importante, che rimanda immediatamente a Leone XIII, autore del caposaldo della Dottrina Sociale della Chiesa, l’enciclica Rerum Novarum. Significa, tra le altre cose, rimettere al centro il tema della sussidiarietà e ripudiare il socialismo, “falso rimedio”, come sosteneva Leone XIII? “Significa sicuramente tutte queste cose e tanto altro, perché tante sono oggi le res novae. Leone XIII è stato il Papa che ha traghettato la Chiesa, sotto il profilo della dottrina sociale, dall’antico al nuovo regime, da un atteggiamento di ripiegamento su stessa alla proiezione verso le ‘“cose nuove’ del proprio tempo. Questo è il giudizio che un laico come Joseph Schumpeter diede della Rerum novarum, la cosiddetta magna charta della moderna dottrina sociale della Chiesa, promulgata proprio il 15 maggio del 1891. Con quel documento, la Chiesa assumeva la questione operaia come una urgenza del proprio tempo e rivendicava tanto il diritto di proprietà quanto il diritto di associazione. Entrambi i princìpi saranno sviluppati e assumeranno i caratteri del principio di sussidiarietà e di soggettività creativa. La scelta di Papa Prevost di assumere il nome di Leone XIV fa pensare a una cura particolare per la dottrina sociale della Chiesa e per le ‘cose nuove’ che interpellano la persona in questi giorni, tragici ed esaltanti. Tragici perché sono evidenti i tratti del dramma, del male che si intreccia con il bene nella civitas hominum, esaltanti perché la persona agente che abita la civitas è chiamato, per vocazione, all’edificazione, sempre imperfetta, di Caritapolis, per usare un’espressione di Michael Novak, mutuata da Paolo VI e dalla quale possiamo cogliere l’alta eredità della teologia agostiniana”.


In un articolo apparso sul Sole 24 Ore, lei ha definito il nuovo Papa un “costruttore di ponti, tra le due Americhe e tra i due occidenti”. In un momento particolarmente turbolento sul piano internazionale, quali saranno le bussole di un “agostiniano”? “Difficile da dire e si corre sempre il rischio di coprirsi di ridicolo, confondendo le proprie legittime aspettative con le intenzioni di un Papa e il bene della Chiesa. E’ un rischio che corriamo tutti e sempre e in questi ultimi giorni ho notato che in tanti hanno iniziato a marcare il campo d’azione del nuovo Pontefice, mostrando poco rispetto e una preoccupante tensione a ‘occupare spazi’, tanto per citare Papa Francesco. Dunque, per evitare di coprirmi di ridicolo, premetto che non so rispondere alla sua domanda, ma farò qualche accenno ad alcune linee di storia del pensiero politico. L’occidente, politicamente parlando, è plasmato dell’agostinismo, dal suo accoglimento o dal suo rifiuto. Grazie ad Agostino sappiamo che la città dell’uomo non si confonde con la città di Dio e che la prima è abitata dalla persona, nella quale alberga un cuore nel quale si intrecciano due amori: quello per Dio fino al disprezzo di sé e quello per sé fino al disprezzo di Dio e così sarà fino alla fine dei tempi. Una tale postura religiosa impone una teoria dell’ordine che riconosce il limite della politica e il riconoscimento della sovranità della coscienza personale. Ma l’occidente è anche quello dei totalitarismi, della divinizzazione dello stato e della sacralizzazione della politica che hanno cosparso la storia dell’occidente di sangue e lo hanno coperto di vergogna per il genere umano. Mi auguro che prevalga il primo occidente e che il secondo sia quotidianamente sconfitto, fino alla fine dei tempi”.


Tra le molte sfide che aspettano Leone XIV, quali pensa lo vedranno maggiormente impegnato, almeno inizialmente? L’intelligenza artificiale, sempre più discussa, potrebbe essere una di queste? “Penso di sì, ma semplicemente perché Papa Leone ne ha parlato qualche giorno fa, spiegando le ragioni che lo hanno spinto ad adottare il nome di Leone, indicando l’intelligenza artificiale tra le “cose nuove” che non possiamo non conoscere e dalla quale non possiamo non farci interpellare. Il sapere è sempre più know how e, soprattutto, know why. Immaginare il sapere del presente come un magazzino di nozioni significa non cogliere la qualità del sapere attuale e relegare la persona a mero custode del magazzino. Se invece realizziamo che il sapere è conoscenza dei processi che portano alla conoscenza, abbiamo già fatto un passo avanti, ma non è ancora abbastanza perché anche in questo, oggi, le macchine possono già sostituire l’essere umano. Ciò che un algoritmo oggi non è ancora in grado di fare e, francamente, credo che non potrà mai fare, riguarda l’attribuzione di senso, del perché di una data decisione. Potrei avere mille ragioni per dichiarare una guerra, tutti gli elementi in mio possesso potrebbero suggerirmi che devo sganciare un missile, eppure, per ragioni di senso, mi rifiuto di farlo, mi rifiuto di uccidere, obietto rispetto a una legge che giudico in coscienza ingiusta, accetto le conseguenze negative per tenere fede alla mia umanità. Insomma, il perché delle mie azioni è la cifra della mia umanità che nessun sistema di algoritmi potrà mai sostituire o sequestrare. La carità di Santa Madre Teresa di Calcutta, la santa follia di san Francesco di Assisi, l’amore di san Massimiliano Kolbe che nel campo di sterminio di Auschwitz donò la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia, non potranno mai essere sostituiti dell’intelligenza artificiale e di questo dovremmo essere profondamente fieri e gelosi”.

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