
l'analisi
Leone XIV e la sfida dell'intelligenza artificiale
Verso una “Rerum Artificialium”? Una nuova enciclica rappresenterebbe la risposta pastorale e dottrinale alla nuova rivoluzione che, oggi come un secolo fa, promette di scuotere le fondamenta della società
La Rerum Novarum di Leone XIII, pubblicata nel 1891, nacque come reazione alle drammatiche trasformazioni portate dalla rivoluzione industriale. L’enciclica affrontava le conseguenze sociali ed economiche del capitalismo emergente, difendendo i diritti dei lavoratori, sottolineando il valore della persona umana e proponendo una giustizia sociale che equilibrasse le forze del mercato con il bene comune. Analogamente, una ipotetica Rerum Artificialium, dedicata all’intelligenza artificiale, si configurerebbe come una interpretazione delle sfide etiche e sociali di un’epoca dominata dalla tecnologia digitale e dall’automazione. Leone XIV ha già indicato queste priorità: nel suo intervento ai cardinali ha definito l’AI “una delle questioni più critiche che l’umanità deve affrontare” e ha sottolineato il rischio che l’AI ponga “nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. L’attenzione, dunque, è rivolta a evitare che la tecnologia digitale “risucchi” l’uomo, anziché servirlo, proprio come Rerum Novarum denunciò gli eccessi disumanizzanti di un’economia senza regole.
Per fondare questa risposta dottrinale su solide basi intellettuali, Leone XIV attinge alla tradizione agostiniana a cui personalmente appartiene. Un riferimento chiave è la massima “credo ut intelligam” – “credo per comprendere” – formulata da sant’Anselmo e radicata nel pensiero di sant’Agostino. In tale prospettiva, la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica non sono minacce alla visione cristiana, ma vie attraverso cui la ragione umana può esplorare il creato.
Sant’Agostino insegna che la fiducia in una verità superiore (“credere”) stimola l’intelletto ad allargare i propri orizzonti (“comprendere”), invece di chiuderli per paura. Questo approccio permette alla Chiesa di non assumere un atteggiamento apocalittico o di rifiuto verso l’AI, bensì di valutarne con discernimento potenzialità e rischi. La recente nota vaticana Antiqua et Nova (gennaio 2025) ribadisce proprio che la tradizione cristiana considera il dono dell’intelligenza come un aspetto essenziale dell’essere creati a immagine di Dio. Pertanto, “la Chiesa incoraggia i progressi della scienza e della tecnica” purché siano esercitati in modo responsabile e orientati a “servire la persona umana e il bene comune”. Una nuova enciclica sull’AI, ispirata a questi princìpi, valorizzerebbe l’uso della tecnologia subordinato alla dignità umana: l’AI come strumento e non fine, utile solo se promuove la crescita integrale dell’uomo. Non mancherebbe, in tal senso, un monito sui pericoli di una tecnolatria senza etica. In sintesi, la Rerum Artificialium di Leone XIV potrebbe proporsi come una magna carta di umanesimo digitale: un documento alto e ispirato, capace di indicare alla comunità globale che la via cristiana all’AI è quella di una conoscenza illuminata dalla fede e di una tecnologia asservita all’uomo e non viceversa.
Un modello linguistico per un’epistemologia plurale
Tra le ipotesi innovative emerse con l’avvento di Leone XIV non manca chi porta avanti l’idea che la Santa Sede possa promuovere lo sviluppo di LLM (Large Language Model) basati su valori cristiani. L’intenzione nasce da una constatazione del panorama digitale attuale: dopo aver conquistato il monopolio informativo tramite motori di ricerca, social network e piattaforme web, i grandi attori tecnologici stanno ora acquisendo anche un monopolio interpretativo grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale generativa. Chi controlla gli algoritmi, in parte controlla la narrazione globale. Non a caso, il recente documento vaticano ha parlato di AI che può aggravare la “crisi della verità nell’agorà pubblica” producendo contenuti indistinguibili dal vero. In questo contesto, lanciare un modello linguistico d’ispirazione cristiana avrebbe un forte significato politico e culturale: equivarrebbe a inserire una voce autonoma e autorevole nel coro dominato dalle Big Tech, a tutela del pluralismo epistemico e della dignità della persona.
Immaginare un ChatGPT della catechesi cristiana non è esercizio di fantasia, bensì una possibilità concreta sostenuta dalle competenze che la Chiesa può mobilitare. La proposta, avanzata da diversi studiosi, di un LLM cristiano s’inserisce in questa visione: creare un’AI addestrata su princìpi e fonti della tradizione cattolica, che fornisca risposte ispirate alla dottrina sociale e ai valori evangelici. Non si tratta di sostituire l’interazione umana o il ruolo educativo della Chiesa, ma di presidiare anche il nuovo continente digitale affinché non sia monopolizzato da un’unica visione. La posta in gioco è la libertà e la verità nell’èra degli algoritmi. In fondo, la Chiesa ha sempre affiancato all’annuncio spirituale anche strumenti culturali e mediatici per raggiungere le coscienze (dalle università medioevali, alla stampa cattolica, fino a radio, tv e social media vaticani). Sviluppare un LLM cristiano sarebbe il naturale proseguimento di questa missione nel nuovo millennio. Significherebbe fornire all’umanità un “algoritmo alternativo” in cui la persona umana non sia variabile trascurabile ma fine ultimo. Iniziative pilota già esistono: ad esempio, è stato presentato MagisteriumAI, un chatbot addestrato su migliaia di documenti del Magistero, concepito per spiegare l’insegnamento cattolico in linguaggio accessibile. Il suo ideatore ha dichiarato di aver voluto creare un sistema che rispondesse alle domande di etica e fede “meglio di ChatGPT”, garantendo trasparenza nelle fonti citate. Parallelamente, una start-up cattolica sta sviluppando “Ephraim”, definito “il primo modello linguistico al mondo cattolico”, allenato sull’intero corpus del sapere cattolico, dalle encicliche ai testi dei santi. L’obiettivo, spiegano i promotori, è dotare l’AI di una “prospettiva veramente cattolica” in modo che le sue risposte riflettano la saggezza della tradizione ecclesiale. Questi esempi dimostrano che un’AI formata sui valori cristiani non solo è possibile, ma è già in gestazione, spinta dall’urgenza di contrastare la deriva di algoritmi neutri solo in apparenza ma di fatto portatori di una visione antropologica riduttiva. Il significato di una tale mossa sarebbe dirompente: la Chiesa rivendicherebbe un ruolo attivo nella governance di internet e dell’AI, rifiutando di lasciare la “grammatica” del pensiero collettivo nelle sole mani del mercato o di stati autoritari. Si tratterebbe in definitiva di una forma aggiornata di missione evangelizzatrice: non più solo tradurre il Vangelo nelle lingue dei popoli, ma anche nei codici degli algoritmi, affinché la Buona Notizia informi – letteralmente – le intelligenze artificiali del futuro.
Etica ispirazionale vs regolamentazione tecnocratica
Mentre Papa Leone XIV delinea un approccio alto e ispirazionale alle sfide dell’AI, incentrato su princìpi morali e visione di lungo periodo, sul fronte civile l’Europa ha scelto una via più burocratico-dirigistica: l’AI Act promosso dalla Commissione europea. Approvato nel 2024, l’AI Act è il primo tentativo organico di regolamentare l’intelligenza artificiale a livello mondiale, tramite un complesso sistema di classificazione dei rischi e obblighi legali per sviluppatori e utilizzatori di AI. Pur animata da intenti lodevoli – tutelare i consumatori e prevenire abusi (dalla sorveglianza di massa ai bias discriminatori) – questa normativa ha sollevato non poche critiche per il suo carattere potenzialmente punitivo e precoce. Molti osservatori notano che l’UE, nel nobile sforzo di “fissare uno standard globale”, in realtà “ha frettolosamente regolamentato una tecnologia nascente”, rischiando di soffocare sul nascere l’innovazione digitale del continente. In altre parole, una regolamentazione così minuziosa e anticipatoria potrebbe rivelarsi prematura: imporre oggi rigidi vincoli tecnici su un settore in rapidissima evoluzione significa congelarne l’evoluzione secondo schemi decisi a tavolino dai legislatori.
Il rischio paventato è che norme troppo tecnocratiche e calate dall’alto producano un doppio effetto negativo: da un lato allontanare i talenti e gli investimenti (le start-up più creative potrebbero scegliere ecosistemi normativi meno onerosi, come gli Usa o l’Asia, causando una “fuga dall’Europa” della ricerca AI); dall’altro ingessare la creatività di chi resta, costretto a navigare tra burocrazia, certificazioni e timori di sanzioni anziché dedicarsi all’innovazione.
Da un Papa agostiniano, che sa interpretare una parabola sia come messaggio metaforico sia come formula matematica, è lecito aspettarsi una sintesi originale e moderna tra fede e ragione, tra etica e scienza: a noi laici rimane la speranza che un’enciclica papale illuminata possa essere più desiderabile ed efficace di un regolamento europeo dirigista.


l'editoriale dell'elefantino
“Chi sono io per non predicare?”. La svolta agostiniana di Leone
