
Papa Leone XIV (foto LaPresse)
Il leone americano
Robert Francis Prevost, un agostiniano di Chicago già missionario in Perù, è il nuovo Papa. Storia di una sorpresa
La storia insegna poco, evidentemente. Anche quella più recente. Non serve a nulla stilare elenchi chilometrici di “papabili”, è insensato dilungarsi in elucubrazioni su “accordi”, “trattative notturne a Santa Marta”, conte e riconte.
Roma. Settimane a parlare di Chiesa divisa, di guerre fra cardinali che non si conoscevano, stufi di Roma e delle sue liturgie, di spaccature profonde e non ricomponibili. E invece, anche stavolta, in un Conclave rapidissimo, almeno due terzi dei cardinali elettori hanno trovato un accordo su questo mite agostiniano americano di quasi settant’anni di cui si sa poco o nulla. Robert Francis Prevost, il già prefetto del dicastero per i Vescovi. E’ nato a Chicago, è il primo americano nella storia a diventare Papa. Nel 1985 fu inviato nella missione agostiniana in Perù, ha fatto il vicario parrocchiale, ha conseguito il dottorato magna cum laude in Diritto canonico alla Pontificia università “San Tommaso d’Aquino”. Nel paese sudamericano è rimasto vent’anni, fino a diventare vescovo per volontà di Papa Francesco. Il 30 gennaio 2023 è stato nominato prefetto del dicastero per i Vescovi. Ieri, l’elezione a Pontefice. A sorpresa, non tanto per il nome che pure era circolato nelle settimane scorse (uno dei ventisei-ventisette papabili), quanto per le tempistiche. Al primo sbuffo bianco uscito dal comignolo, poco dopo le 18, tutti hanno iniziato a urlare il nome di Pietro Parolin, il già segretario di stato che unanimemente veniva accreditato di quaranta, cinquanta, addirittura sessanta voti. Nei giorni scorsi, una testata azzardava perfino il numero preciso di preferenze che Parolin avrebbe portato con sé entrando in Sistina. La storia insegna poco, evidentemente. Anche quella più recente, quando al Conclave del 2013 si dava per certa l’elezione di Angelo Scola “se il Papa sarà eletto entro ventiquattro ore”. E invece. Non serve a nulla stilare elenchi chilometrici di “papabili”, è insensato dilungarsi in elucubrazioni su “accordi”, “trattative notturne a Santa Marta”, conte e riconte.
Tutti si sono precipitati in piazza mentre le campane della basilica suonavano a festa, confermando che dal comignolo il fumo che si vedeva era veramente bianco. Quattro votazioni, come Ratzinger nel 2005: ovvio che sarebbe uscito il favorito, assicuravano i più esperti, quelli che sulle spalle di Conclavi ne hanno parecchi. Dopo un’ora di attesa, ecco uscire il protodiacono, il cardinale Dominique Mamberti. La piazza fremeva, pareva quasi di sentire i battiti cardiaci delle migliaia di persone abbracciate dal colonnato berniniano. All’Habemus Papam, il primo urlo di giubilo. Poi, la tensione quando Mamberti ha detto “Robertum Franciscum”: chi è?, s’è sentito dire fra chi teneva in mano gli smartphone per immortalare il momento storico. La stessa domanda che attraversò il sagrato dodici anni fa, udendo quel “Georgium Marium” che rimandava all’allora arcivescovo di Buenos Aires. Al “cardinalem Prevost”, solo i più addentro alle cose di Chiesa hanno capito. Giornalisti e preti, forse qualche suora. Oltre a una famiglia di peruviani che ha iniziato a esultare gridando “peruano, peruano!”. Poi altra attesa, lunga. Quindi, preceduto dalla croce astile, ecco uscire il nuovo Papa. Vestito da Papa, con la mozzetta di raso rosso, come spetta ai Papi e pazienza per la stucchevole retorica pauperista che ancora circola qua e là, ignara del fatto che l’umiltà può essere intesa anche come adeguarsi al ruolo che gli altri hanno assegnato. Un saluto molto americano, quello di Leone XIV, che poi – innovazione – ha letto un discorso preparato in precedenza. Lungo, pieno di riferimenti a Cristo e alla pace, alla missione e a Papa Francesco. La Chiesa ha trovato il 267esimo successore di Pietro. Non di Francesco, ma del Principe degli apostoli.


Su tutte le piattaforme
Il mistero del Conclave: l'elezione più cool al mondo
