l'intervista

“Non avvicineremo l'uomo a Dio parlando di migranti o ecologia”. Parla l'arcivescovo emerito di Bruxelles

Matteo Matzuzzi

“Il fatto che la nostra società sia sempre meno cristiana non è un motivo per pensare che sia l’inizio della fine”. L'Europa, i giovani, la fede. Intervista al cardinale Jozef De Kesel

“Non dobbiamo lamentarci perché non viviamo più in una società cristiana omogenea. Una volta era così, e anche per molto tempo. Ed era, ovviamente, una situazione molto comoda per la Chiesa. Ma è sbagliato pensare che la Chiesa possa svolgere davvero la sua missione solo in una società già cristiana”. Il cardinale Jozef De Kesel è arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles, la grande diocesi belga che ha guidato fino allo scorso giugno. Da poco ha mandato in stampa per la Lev (Libreria Editrice Vaticana) Cristiani in un mondo che non lo è +. La fede nella società moderna. Con il Foglio affronta i temi su cui spazia il volume.

 

I giornali sono pieni di analisi sul tramonto della fede in occidente. Chiese chiuse, praticanti sempre meno. Eppure l’epoca della “cristianità” non è certo finita oggi. Lei, essendo belga, lo sa molto bene. I missionari olandesi già lamentavano una crisi ai primi del Novecento. Il cardinale francese Emmanuel Suhard negli anni Quaranta parlava di “declino del cristianesimo”. Nel suo libro, invita ad accettare “di buon cuore” che non viviamo più in una società cristiana. Come vincere allora la tristezza e la rassegnazione e reagire a questa realtà?

“Proprio per questo ho scritto il mio libro. Molti vivono la crisi che stiamo attraversando come un declino o addirittura come l’inizio della fine. Ecco perché è così importante capire questa crisi e la nostra situazione. Ci siamo evoluti da una società religiosa e cristiana e ora siamo una società moderna, secolarizzata e pluralista. Per me, questa è piuttosto una situazione eccezionale. Non sto dicendo che non ci siano grandi sfide per la fede e la Chiesa in una società secolare e pluralista. Ma soprattutto voglio sottolineare che il fatto che la società stessa sia sempre meno cristiana non è un motivo per pensare che le cose vadano male per la Chiesa”.

 

Lei è stato arcivescovo di una tra le città più ricche di contrasti d’Europa: da un lato la laicità a tratti esasperata, dall’altro la presenza molto forte dell’islam. Il cattolicesimo segna un po’ il passo, non certo da oggi. Qual è la ricetta – ammesso che ne esista una – per non far spegnere la fiamma della fede in una realtà così complessa come quella di Bruxelles e, per estensione, come quella del Belgio?

Né la secolarizzazione né la presenza dell’islam devono essere viste come una minaccia per la Chiesa. Una società moderna è costruita sul rispetto reciproco di tutti i cittadini. Rispetto proprio anche della nostra diversità. Senza questo rispetto per l’altro e per le credenze dell’altro, nessuna società è possibile. L’inculturazione significa che la Chiesa si colloca pienamente in questo contesto plurale. Da qui la grande importanza del dialogo interreligioso e interconfessionale in tale situazione. Questo vale non solo per la Chiesa, ma anche per l’islam qui in occidente. Il dialogo non è una minaccia alla mia identità cristiana, ma piuttosto un invito ad approfondire e far comprendere la mia fede. Incontrarsi, non in uno spirito di proselitismo ma di rispetto reciproco, è così importante oggi. Non dimentichiamo nemmeno che l’immigrazione fa sì che non solo i credenti musulmani vengano a vivere qui da noi, ma anche molti cristiani. Anche a Bruxelles il numero di comunità di origine non belga è molto elevato. Anche questa è una grande e promettente ricchezza per la Chiesa”.


Bruxelles è considerata la capitale dell’Europa “senza Dio”, secolarizzata. Dove le chiese sono poche e spesso trasformate in sale da ballo o convertite in altre attività. Cos’è successo?

“E’ vero che in una società secolarizzata la sensibilità religiosa non è più così grande come un tempo. La Chiesa e la sua fede non sono più onnipresenti. La fede cristiana non è più la convinzione dell’intera società. Ma questo non significa che Dio sia assente. Dio è all’opera in questo mondo, anche oltre i confini della Chiesa. Che le chiese siano vuote e scompaiano silenziosamente è semplicemente non vero. Naturalmente, in una società in cui tutti sono cristiani, le chiese sono necessarie ovunque. Non è così in una società secolare e pluralista. In questo senso, le chiese sono occasionalmente ritirate dal culto. E si presta molta attenzione alla destinazione che viene loro assegnata. Ma la grande maggioranza delle chiese rimane un edificio di culto. Anche a Bruxelles ci sono chiese molto affollate”.

 

Nel suo libro osserva che il punto centrale, “la vera domanda” che dobbiamo farci è se la Chiesa può attrarre nuovi membri. Scrive che “è da questo che si riconosce la vitalità di una Chiesa: non tanto dal numero di membri che ancora raggiunge, ma dal fatto che qualcuno, pienamente, integrato nella cultura secolarizzata di oggi, possa essere toccato dalla verità, la forza e la bellezza del Vangelo”.  Siamo davvero sicuri che porre l’accento su concetti che sono propri anche del “mondo” (penso al fenomeno migratorio e all’ecologia) riesca ad attrarre nuovi membri? Se la Chiesa offre all’uomo contemporaneo quel che già offrono le organizzazioni non governative o il grande dibattito laico, come può pensare di “conquistare” l’uomo di oggi?

“Penso che non si tratti di ‘conquistare’ l’uomo di oggi. Non abbiamo nulla da vendere e annunciare il Vangelo non è una campagna pubblicitaria. Ma lei ha ragione: non è con il concentrarsi sulle questioni migratorie o sull’ecologia che si avvicineranno le persone a Dio. Inoltre, avvicinare le persone a Dio e alla fede, solo Dio stesso può farlo. E’ sempre Dio stesso che con la forza del suo Spirito porta le persone alla conversione e alla fede. E’ proprio questa la missione della Chiesa: testimoniare l’opera di salvezza di Dio in questo mondo. Di questo essa è segno e anche strumento attraverso il suo annuncio e il suo impegno per una società più umana. C’è anche un malinteso sul termine ‘aggiornamento’, tanto usato riguardo il Concilio Vaticano II. Papa Giovanni voleva effettivamente avvicinare la Chiesa al mondo. Fare in modo che non sia un mondo a sé stante accanto al mondo reale. Aggiornamento significa apertura al mondo. Ma non significa adattamento al mondo. Nella Bibbia, la tentazione del popolo di Dio è sempre stata quella di essere come le altre nazioni. Ma se la Chiesa deve offrire solo ciò che si può ascoltare altrove, non avrà alcun fascino. Ecco perché alla fine del mio libro scrivo che la Chiesa del futuro dovrà essere una Chiesa più confessionale: testimoniare il Vangelo nel modo più autentico possibile attraverso le parole e le azioni”.

 

Eminenza, si tende a rappresentare in modo catastrofico le nuove generazioni: disinteressate a tutto tranne che ai social network e alla PlayStation. Eppure, quando si stabilisce un discorso chiaro con i giovani, si scopre che anche loro hanno una forte domanda di senso, un bisogno di qualcosa di “diverso” . Qualcuno direbbe un richiamo alla trascendenza. Cosa può fare la Chiesa per rispondere a questa necessità, facendo alzare lo sguardo dallo smartphone verso qualcosa di più “alto”?

“E’ vero che i giovani di oggi hanno una forte domanda di senso, un bisogno di qualcosa di ‘diverso’ e di ‘più alto’. Ma è anche vero che sono figli del loro tempo. Se faccio un confronto con la mia giovinezza, 60 anni fa (!), penso che allora avevamo vita più facile. I giovani di oggi, fin da piccoli, vivono in un mondo molto complesso, con un numero di possibilità infinitamente maggiore rispetto a quello di allora. Sono anche sopraffatti da così tante informazioni e possibilità. E’ difficile per loro fare serenamente le scelte giuste. Penso che uno dei grandi compiti della pastorale giovanile sia quello di aiutarli in questo processo di discernimento. Non per imporre loro la fede. Ma piuttosto far sentire loro come la fede in Dio, in Gesù e nel suo Vangelo ci aiuti a vedere e a scoprire più chiaramente che cosa dà veramente senso alla nostra vita e rende la vita degna di essere vissuta. Far sentire loro che il Vangelo ci aiuta anche a diventare cittadini responsabili nella società. Non una vita autosufficiente”.

 

Le nostre società sono dominate dal mito del progresso. Tutto (o quasi) è progresso: l’aborto è un atto di libertà per la donna, l’eutanasia è la libertà di morire come si vuole. Come confutare questo pensiero così diffuso che spesso, anche tra i cattolici, rende difficile controbattere o dare risposte efficaci?

C’è davvero un grande malinteso intorno al concetto di ‘progresso’ e anche intorno al concetto di libertà. La libertà non è solo poter fare quello che voglio. Come se io stesso fossi l’unica autorità che la determina. Non sono solo in questo mondo. Ciò che sono, lo sono sempre anche attraverso la relazione e l’incontro con gli altri. Quindi la libertà è sempre anche responsabilità. Non c’è vera libertà umana senza fraternità. Quando una persona è libera, vuole anche sapere per che cosa è libera. Altrimenti è una libertà vuota, che non dà alcun appagamento. Anche il concetto di progresso porta a molti malintesi. Come se ogni cambiamento o ogni espansione della libertà individuale fosse per definizione un progresso. Il vero progresso si riferisce alla ricerca di una società più umana e fraterna. Come l’ha detto Paolo VI nell’enciclica Populorum progressio: il progresso deve essere integrale, cioè ‘volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo’”.


Come immagina la Chiesa del domani? O come vorrebbe che fosse?

“Non conosciamo il futuro della Chiesa tra 50 o 100 anni. Sicuramente la Chiesa ci sarà ancora. E sarà anche la stessa Chiesa. Ma con ogni probabilità sarà diversa. Non una Chiesa diversa, ma la Chiesa diversa. Qui in occidente, sarà più piccola. Quindi non necessariamente una minoranza. Ma non una Chiesa che rappresenta la maggioranza della popolazione. Sarà, spero, non solo più piccola di numero, ma anche più umile nello spirito. Una Chiesa che non si ritiene superiore agli altri e non si esalta al di sopra degli altri. Penso che sarà anche più professante, proprio per far sentire la sua voce nella società e chiarire cosa è e cosa non è. E’ così importante che la gente sappia cosa rappresenta. Ma allo stesso tempo, una Chiesa che non si taglia fuori dal mondo. Una Chiesa che non solo ha qualcosa di molto importante da dire al mondo, ma che sa anche ascoltare ciò che il mondo ha da dirle. Una Chiesa che impara a capire i segni dei tempi. Una Chiesa che ascolta anche la voce dei poveri e di tutti coloro che, comunque, soffrono”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.