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Una chiesa in svendita

Giulio Meotti

In Olanda il primate chiude la cattedrale. “La secolarizzazione ha espugnato il cattolicesimo”. Interviste

Se in Francia si profanano le chiese, una decina soltanto nell’ultima settimana, in una cristianofobia che secondo il cardinal Robert Sarah è il simbolo di una “civiltà malata”, nella vicina Olanda è in corso un vandalismo diverso, autoindotto, una secolarizzazione d’assalto e che ha quasi definitivamente espugnato la chiesa cattolica.

 

“In silenzio, i cattolici stanno abbandonando la chiesa. Un grande processo di trasformazione”, dice al Foglio il professor Peter Nissen

“La chiesa è stata spinta ai margini e la cultura cattolica è diventata una sottocultura. Il risultato è la chiusura delle chiese”

“Si prevede che mille chiese diventeranno vacanti entro il 2030”, recitano i dati del ricercatore Herman Wesselink. Il ministro della Cultura Van Engelshoven vuole salvare le chiese dalla demolizione e prova a inventarsi formule nuove per la loro vendita. L’Olanda ha ancora seimila chiese. Fino all’80 per cento di queste potrebbero perdere la propria funzione religiosa nei prossimi anni. C’è carenza di denaro e fedeli e la demolizione incombe.

 

Due chiese stanno chiudendo ogni settimana nei Paesi Bassi”, ha detto Frank Strolenberg, responsabile del patrimonio religioso per l’Istituto dei beni culturali dei Paesi Bassi. La chiesa protestante nei Paesi Bassi ha duemila edifici ecclesiastici. Di questi, ottocento spariranno. Ad Amersfoort ha fatto scalpore la decisione di cedere quattro chiese cattoliche. La diocesi di Den Bosch ha deciso di serrare nove chiese. E’ notizia di questi giorni che chiuderà anche la cattedrale di Santa Caterina a Utrecht, che sarà comprata dall’adiacente museo di arte religiosa. Dal 1853 in quella cattedrale venivano consacrati quasi tutti i sacerdoti.

   

“Non credo che il cattolicesimo sia ‘finito’ nei Paesi Bassi, ma è certamente in un enorme processo di trasformazione”, dice al Foglio Peter Nissen, docente di Studi ecumenici alla Radboud University di Nijmegen. “Dopo la Seconda guerra mondiale, i Paesi Bassi hanno sperimentato un forte processo di modernizzazione, dovuto all’aumento dello standard di vita, dell’istruzione, della ricchezza e della libertà personale. In questo processo, sia le chiese cattoliche sia quelle protestanti hanno perso molta della loro plausibilità. Così come era facile essere un membro della chiesa fino agli anni Sessanta, perché la chiesa era presente ovunque nella società (scuole, organizzazioni, partiti, emittenti tv), così è diventato facile abbandonare silenziosamente la chiesa dopo gli anni Sessanta, semplicemente perché la gente non ha più bisogno della chiesa e delle sue istituzioni”.

 

Ciò è particolarmente vero tra i cattolici: “Non lasciano apertamente la chiesa, lo fanno in silenzio. I giovani non si uniscono più e i membri attivi invecchiano. Fino agli anni Sessanta, la chiesa aveva una posizione ferma nella società olandese, specialmente al sud. Anche se molte persone pensano che i Paesi Bassi fossero una nazione protestante, tuttavia intorno al 1960 c’erano più cattolici che protestanti nei Paesi Bassi. Ma allo stesso tempo iniziò il processo di secolarizzazione tra i cattolici, molto più tardi che tra i protestanti”.

 

Dagli anni Ottanta, questo processo è diventato più pronunciato. “Un recente rapporto sui cristiani nei Paesi Bassi, pubblicato a novembre dall’Istituto olandese per la ricerca sociale, un’agenzia governativa, lo ha reso molto chiaro. Nel 2000 la chiesa cattolica aveva ancora oltre cinque milioni di membri nei Paesi Bassi, nel 2015 ne sono rimasti solo 3.882.000: un calo di quasi il 25 per cento. Di questi membri, solo il cinque per cento frequenta regolarmente i servizi della domenica. Questo numero è diminuito dal nove per cento nel 2003 al cinque per cento nel 2015, con un calo del 47 per cento. Non credo che il cattolicesimo scomparirà dai Paesi Bassi, ma cambierà (ed è già cambiato) e si trasformerà in una piccola chiesa di minoranza. La chiesa cattolica sopravviverà solo come una piccola chiesa di credenti impegnati con un basso grado di organizzazione”.

 

Cinquant’anni fa, nel 1968, in Olanda c’erano 2,7 milioni di cattolici “attivi”. Nel 2016 erano 173 mila. Entro il 2030 si prevede che saranno poco più di 63 mila. “Negli ultimi dieci anni sono stati chiusi oltre 200 edifici di culto cattolici”, dice al Foglio Joris Kregting, il ricercatore che ha compiuto l’indagine per l’Università di Radboud. “Stimiamo il numero di chiese che chiuderanno dal numero di olandesi che vanno a messa. Questo numero per il 2017 è di 158 mila e dovrebbe scendere a circa 60 mila nel 2030”.

 

Come arcivescovo di Utrecht e primate d’Olanda, Wim Eijk vive tra i suoi predecessori. Nel palazzo arcivescovile sul Maliebaan, i ritratti degli arcivescovi degli ultimi centocinquant’anni sono appesi nei corridoi e nelle sale. Nel novembre 2014, Eijk pubblicò una nota in cui prediceva che nel 2028 – l’anno in cui sarebbe andato in pensione – nella sua diocesi sarebbero rimaste soltanto venti chiese. Lo scorso settembre, parlando con il quotidiano De Gelderlander, ha corretto il tiro: “Nel 2028 resteranno otto o dieci chiese”. Eijk ha detto anche che l’Olanda “abbraccia un futuro senza chiese”.

 

Con la vendita della cattedrale, Eijk sarà il primo vescovo senza chiesa in Europa. “Sarà la prima volta che un vescovo perderà la proprio sede a causa dei tagli, che a loro volta sono il risultato del numero in calo dei fedeli”, dice Nissen. Il Vaticano dovrebbe appoggiare la sconsacrazione di Santa Caterina, una mera formalità in quanto Eijk non ha fatto obiezioni alla vendita (soltanto le proteste dei fedeli potrebbero adesso compromettere la vendita). Questa chiesa monumentale costruita nel 1560 ha funzionato come una cattedrale dal 1853. E’ il luogo in cui l’arcivescovo celebra la messa durante importanti celebrazioni ecclesiastiche come la Pasqua e il Natale e dove si svolgono le iniziazioni di sacerdoti e vescovi a Utrecht. “Il cardinale Wim Eijk, il capo di praticamente nulla”, si legge sulla stampa olandese. “Opera come un rigoroso amministratore nel mondo degli affari”, dichiara Paul van Geest, professore di Storia e Teologia all’Università di Tilburg. Incontrò accidentalmente il cardinale Eijk un anno fa, per strada a Utrecht. ‘Mi ha detto che era stato dal parrucchiere. Non ho problemi per la sicurezza. Nessuno mi conosce qui’. Prima della grande secolarizzazione, i suoi predecessori avevano regolarmente folle popolari. I credenti si inginocchiavano e baciavano l’anello. L’arcivescovo di Boston oggi ha circa un migliaio di sacerdoti e molte religiose. Ma Eijk? E’ il responsabile di praticamente nulla: un pugno di preti e volontari ben disposti”.

 

Il professor Van Geest pensa che Eijk sarebbe stato “un eccellente professore, intelligente e diligente. Nel suo attuale lavoro deve essere quasi depresso. La sua diocesi implode”. La chiesa medievale di St. Walburga nella città olandese di Arnhem è stata venduta per quasi un milione di euro in modo che possa essere convertita in una serie di appartamenti. Utilizzata per la prima volta nel 1375, la chiesa fu elevata allo status di basilica nel 1964, ma nel 2013 fu chiusa a causa di un calo del numero di fedeli.

 

Nel 1968, 2,7 milioni di cattolici andavano a messa. “Nel 2017 erano 158 mila e saranno 60 mila nel 2030”, ci dice Joris Kregting

“Dopo il Concilio Vaticano II, l’emancipazione della chiesa in Olanda è stata completa”, secondo il professor Van Geest

“Negli anni Trenta del secolo scorso Papa Pio XI affermò che la chiesa cattolica dei Paesi Bassi era un esempio brillante per i cattolici di tutto il mondo: Hollandia docet”, dice al Foglio il professor Paul van Geest. “In tutto il mondo c’erano molti missionari olandesi che lavoravano. Circa l’otto per cento dei vescovi che lavoravano come missionari provenivano dall’Olanda al tempo del suo successore, Pio XII. Anche il sistema educativo e ospedaliero olandese era molto ben organizzato in quegli anni. Il numero di assistenti in chiesa era molto alto. Anche nelle grandi città la metà dei cattolici andava in chiesa. La vitalità nella chiesa cattolica nei Paesi Bassi fino al 1965 circa aveva a che fare con il cosiddetto ‘sistema pilastro’ che esisteva nei Paesi Bassi. Liberali, socialisti, cattolici e protestanti avevano il loro posto nella società olandese. Ogni pilastro era fortemente collegato alle proprie scuole, sindacati, organizzazioni, movimenti giovanili, giornali, partiti e ospedali. E il pilastro cattolico si basava anche sul perseguimento dell’emancipazione. Fino al 1853 non esisteva una gerarchia episcopale nei Paesi Bassi. I Paesi Bassi erano una nazione protestante e i cattolici erano cittadini di seconda classe. Quando nel 1853 la gerarchia episcopale fu restaurata e i cattolici riconquistarono le diocesi, non solo divennero più sicuri di sé, ma anche molto militanti nella lotta per l’emancipazione. Ma negli anni Sessanta, lo stato olandese ha assunto sempre più compiti che erano tradizionalmente nelle mani della chiesa. I religiosi e quindi anche le scuole e gli ospedali cattolici continuarono a esistere. Ma erano sovvenzionati dallo stato. Come risultato di questo sviluppo, i pilastri hanno cominciato a sbriciolarsi sempre di più. Così l’emancipazione cattolica cessò. La fiducia in se stessi dei cattolici è diminuita, così come la loro combattività. Negli anni Sessanta, la secolarizzazione dei Paesi Bassi si è realizzata rapidamente anche perché il cattolicesimo ecclesiastico si è trasformato in cattolicesimo socioculturale, nel quale l’individualizzazione e la perdita di comunità hanno giocato un ruolo importante. La reazione dei cattolici olandesi al Concilio Vaticano II ha portato anche a profondi cambiamenti nella chiesa dei Paesi Bassi. Hanno criticato il clericalismo, il trionfalismo e il rigido pensiero dentro e fuori la chiesa. Tutto sommato, il Concilio ha significato una riscoperta e una rivalutazione del mondo esterno. Nel 1964 Paolo VI ha assunto il dialogo come punto di partenza nell’enciclica Ecclesiam suam, un dialogo con gli altri ma anche all’interno della chiesa. Il Papa però scrisse anche l’Humanae vitae nel 1968, dove resisteva alle moderne possibilità della contraccezione. Si completò così, in un certo senso, l’emancipazione cattolica nei Paesi Bassi. All’improvviso è stato erroneamente ipotizzato che la chiesa fosse una democrazia. I cattolici olandesi hanno votato al consiglio pastorale di Noordwijkerhout su questioni spinose come il celibato obbligatorio del sacerdozio. Papa Paolo VI ne fu scioccato. Nei Paesi Bassi nominò due vescovi, Simonis e Gijsen, che erano orientati ad ancorarsi alla ‘chiesa mondiale’. Questo ha creato polarizzazione nella chiesa olandese. Insieme all’implosione delle istituzioni cattoliche, ciò ha reso la chiesa cattolica sempre più marginale. I restanti cattolici hanno sviluppato un’immagine pessimistica della ‘società’. La chiesa è diventata anche sempre meno partner dello stato. C’è stata una fedeltà sfocata, che ha reso la chiesa instabile e sempre meno capace di sostenersi. Nei Paesi Bassi, la chiesa cattolica è stata spinta ai margini e la cultura cattolica è diventata una sottocultura. Le chiusure delle chiese ne sono il risultato”.

 

Secondo Kees de Groot, docente di Teologia alla Tilburg University, oggi né più né meno il cattolicesimo è in svendita. “I Paesi Bassi sono stati tra i paesi più secolarizzati e religiosamente eterogenei dagli anni Settanta”, dice al Foglio de Groot. “Un recente sondaggio nazionale ha mostrato che una vasta maggioranza (il 68 per cento della popolazione) non si considera appartenente a nessuna religione. L’appartenenza alla chiesa continua a diminuire costantemente, così come la fede in Dio. La religione istituzionale non sta semplicemente finendo nelle società occidentali; piuttosto, i suoi beni e proprietà vengono redistribuiti. Gran parte della chiesa è in liquidazione, come le aziende fallite in svendita”.

 

Resta da vedere chi sarà il miglior offerente in una società che svende in serie le sue chiese e che non è meno malata di una in cui sono attaccate. L’Olanda sembra uscita dalla “Terra Desolata” di T. S. Eliot: “Svelti per favore, si chiude”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.