L'arca di Noè in un dettaglio dei mosaici del duomo di Monreale (foto CC)

Si fa presto a dire che bisogna ripensare il fatto religioso

Jean-Claude Guillebaud

La maggior parte dei valori democratici legati alla cristianità è stata laicizzata all’epoca dei Lumi. Il cristianesimo è in crisi mentre i suoi stessi valori trionfano

Pubblichiamo un estratto del saggio “La modernità postcristiana può essere una chance” dello scrittore e saggista francese Jean-Claude Guillebaud. L’articolo è apparso sull’ultimo numero della rivista Vita e Pensiero


  

Si sente o si legge spesso questa esclamazione: bisogna ripensare il fatto religioso. Nel caso del cristianesimo, il discorso è più complicato di quanto si può immaginare. Perché? Perché in larga misura la stessa modernità occidentale è un fenomeno postcristiano. Questo significa che la maggior parte dei valori democratici (uguaglianza, solidarietà, individualismo, idea di progresso eccetera) sono in parte legati all’eredità cristiana, poi laicizzatisi all’epoca dei Lumi. In questa prospettiva il cristianesimo contemporaneo conosce uno strano destino: è in crisi mentre i suoi stessi valori trionfano. Vive una situazione paradossale di “crisi trionfante” o di “sparizione egemonica”. Viene meno rifiutato rispetto a quanto si è dissolto, in qualche modo, nella modernità postcristiana (lo stesso vale per l’ebraismo la cui crisi è paragonabile, in termini di pratica e in termini istituzionali). E’ in questo senso che il filosofo Marcel Gauchet definisce il cristianesimo come la religione che ci permette di “uscire dalla religione”. Situazione strana, in verità.

  

Essa richiama immediatamente due osservazioni. La prima riguarda la realtà della filiazione che collega la modernità ai suoi lontani fondamenti ebraici e cristiani. Una questione per lungo tempo polemica. Non è più del tutto vero ai nostri tempi, a eccezione di alcune querelle che hanno creato molto sconcerto, come quella che ha riguardato, all’inizio degli anni Duemila, i “valori di origine religiosa” menzionati nel progetto di Carta europea. Del resto, e ne cito uno tra mille altri, la sottolineatura del filosofo marxista Toussaint Desanti (morto nel 2002) sembrava riflettere un consenso molto ampio quando scriveva: “A partire dal momento in cui ha cominciato a svilupparsi come filosofia – diciamo a partire da Agostino –, il cristianesimo è diventato il luogo nel quale tutte le acquisizioni culturali si sono raccolte e si sono ripensate. In questo senso, esso fa parte del terreno sul quale tutta la riflessione dell’Occidente si è sviluppata, compresa l’interpretazione degli antichi” (Quand la croyance se défait, in Esprit, giugno 1997, p. 171). Non passano anni, se non dire mesi, oggi, senza che uno storico o un saggista venga a supportare e approfondire questa evidenza. Osserviamo, inoltre, che la contestazione di questa filiazione da parte dei colonnelli dell’ateismo da combattimento è fenomeno tipico della Francia. E’ il prodotto di increspature successive alla lunga e necessaria lotta condotta in Francia per la separazione tra stato e chiesa. In paesi come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna la questione non si pone. Rari sono i presidenti americani che non hanno rivendicato, in un momento o in un altro, questa filiazione nei loro messaggi sullo stato dell’Unione. “La democrazia è la sola espressione politica vera del cristianesimo”, affermava il vicepresidente Henry A. Wallace nel 1942, in piena offensiva contro il nazismo.

   

Bisogna sapere che la paradossale riappropriazione dei valori ebraico-cristiani da parte dei filosofi dei Lumi e dei teorici della Rivoluzione era stata percepita da alcuni storici o saggisti a partire dal XIX secolo. Philippe Buchez e Prosper-Charles Roux, autori di una summa in diversi volumi pubblicata nel 1834 – Storia parlamentare della Rivoluzione francese – annotavano, per esempio, nella loro introduzione: “La Rivoluzione francese è la conseguenza ultima e la più avanzata della civiltà moderna, e la civiltà moderna è sorta tutt’intera dal Vangelo. Questo fatto è irrecusabile”. Più o meno nella stessa epoca Joseph Proudhon formulava la stessa sottolineatura, completandola. Per lui la Rivoluzione era contemporaneamente figlia del Vangelo ed emancipazione rispetto a quest’ultimo: “Dopo aver conosciuto Dio tramite il cuore e la fede – scriveva – “è venuto il tempo per l’uomo di conoscerlo tramite la ragione. Il Vangelo era stato, per l’umanità, come una scuola elementare; ora, adulta, aveva bisogno di un insegnamento superiore che la Rivoluzione apporterà, pena la caduta nell’idiozia e nella schiavitù” (Pierre-Joseph Proudhon, in Le Peuple, 17 ottobre 1848). Bisogna aggiungere, paradossalmente, che questo passaggio di consegne tra i valori ebraico-cristiani e la modernità è avvenuto spesso contro le istituzioni ecclesiali o sinagogali. In altre parole, la trasmissione del messaggio è stata fatta spesso da dissidenti, persone ai margini o rifiutate. La lista è lunga e include Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, Baruch Spinoza e Moses Mendelssohn, il padre dei Lumi ebraici, l’Haśkalah – e sicuramente altri. Grandi quantità di libertà sono state conquistate da uomini e donne che si situavano “al di fuori”. Essi contestavano in maniera frontale – e a ragione – il magistero delle istituzioni religiose e l’accecamento di queste ultime.

Di più su questi argomenti: