Donald Trump e Papa Francesco (foto LaPresse)

La libertà religiosa al centro dell'udienza tra Trump e il Papa

Matteo Matzuzzi

Niente ambiente nell'incontro riservato in Vaticano. Nei 29 minuti di colloquio, si è parlato di salute, educazione e assistenza agli immigrati. Com’è lontana in Vaticano l’èra Obama

Roma. Se il colloquio fosse durato meno di venti minuti, dicevano gli osservatori più attenti delle complesse dinamiche vaticane, per Donald Trump sarebbero stati dolori. Significava, sostenevano sempre gli aruspici del caso, che il Papa e il suo ospite non avevano avuto granché da dirsi, o che – peggio – il clima s’era surriscaldato. Alla fine, il tutto s’è compiuto in mezz’ora, negli standard classici del protocollo d’oltretevere. Ma al di là dello sguardo basso di Francesco, del sorriso smagliante di The Donald, dei cortei silenziosi che incedono lenti lungo i corridoi del palazzo apostolico e dell’apprezzabile mise vittoriana e quasi vedovile di Melania, è il comunicato ufficiale rilasciato al termine del doppio incontro (l’altro era con il segretario di stato Parolin) a raccontare molto di quel che è avvenuto nell’atteso vis-à-vis. Tra i primi punti evidenziati non c’è la questione ambientale (Bergoglio ha donato la Laudato Si’, come fa con tutti i capi di stato che riceve) né il muro al confine con il Messico. Bensì si sottolinea “il comune impegno a favore della vita e della libertà religiosa e di coscienza”. Cioè delle tematiche che hanno portato i cattolici a preferire il candidato repubblicano a Clinton nelle elezioni dello scorso novembre. Non solo, visto che “si è auspicata una serena collaborazione tra lo stato e la chiesa cattolica negli Stati Uniti impegnata a servizio delle popolazioni nei campi della salute, dell’educazione e dell’assistenza agli immigrati”. “Le differenze profonde tra i due ci sono”, dice al Foglio Robert Royal, direttore di The Catholic Thing e presidente del Faith and Reason Institute di Washington, “ma si lavora anche con persone con cui non si è in perfetto accordo. E comunque, di punti in comune ce ne sono, dalla pace, alla persecuzione dei cristiani”. A leggere il comunicato odierno, quel che balza all’occhio è la differenza di tono rispetto a quello molto più freddo che seguì la lunga udienza concessa a Barack Obama, con quest’ultimo che più tardi avrebbe osservato che “Sua Santità è stato chiaro sulla sua visione: io su alcune cose sono d’accordo, su altre parzialmente d’accordo”. Glissando così sulla richiesta papale di rispettare la libertà di coscienza e di intendere la religious freedom come qualcosa di ben più sostanzioso e ampio della mera libertà di culto. 

  

“Obama cercava di imporre il suo sistema sanitario (con l’aborto, la contraccezione, i diritti omosessuali, e così via) sulle chiese americane. L’Amministrazione Trump non lo farà”, dice Robert Royal. “Obama e Francesco erano forse più in sintonia sul piano internazionale, ma è anche vero che Trump e la Santa Sede potranno agire di concerto riguardo la protezione dei cristiani nel medio oriente e la crisi dei rifugiati. Ci saranno differenze, ma non si deve per forza partire subito dicendo che la collaborazione è impossibile”. Questo primo incontro è andato bene, “Trump almeno stavolta sembrava ben preparato. Ne sapremo di più in seguito”. E infatti, di scenari globali s’è parlato, visto che i colloqui “hanno poi permesso uno scambio di vedute su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale e alla promozione della pace nel mondo tramite il negoziato politico e il dialogo interreligioso, con particolare riferimento alla situazione in medio oriente e alla tutela delle comunità cristiane”.

 

“Let my people go, lascia andare il mio popolo. Sono le parole di un vecchio spiritual che scandiva le marce per i diritti civili di Martin Luther King. Ecco, a me pare che la chiave sia quella dell’appello al popolo”, dice al Foglio Massimo Introvigne, direttore del Cesnur. “Ora Trump è venuto a Roma e, incontrando Papa Francesco, gli ha fatto omaggio di una scatola blu con la raccolta delle opere di Luther King. Negli ultimi mesi diversi politologi hanno scritto che, nonostante arrivino a conclusioni diversissime, Trump e Papa Francesco sono figli dello stesso tempo e condividono le stesse premesse populiste, l’appello al popolo semplice, che ha deciso le elezioni americane, contro le élite finanziarie, politiche e culturali. C’è del vero – prosegue il sociologo – ma c’è anche il rischio di fare del populismo un’etichetta acchiappatutto che rischia di non significare più nulla. Le etichette, in fondo, non sono importanti. Se guardiamo alla sostanza, il riferimento a Martin Luther King del Papa nel Messaggio per la Giornata della pace appare più persuasivo di quello di Trump”. Insomma, “se proprio si vuole usare questa abusata categoria, non esiste un solo populismo ma esistono ‘populismi’, al plurale, con idee di popolo piuttosto diverse fra loro. Lasciate passare il mio popolo, certo. Ma non è sicuro che il popolo di Francesco sia lo stesso popolo di Trump”. Tra le altre cose, Bergoglio ha donato al presidente americano una copia di Amoris laetitia, segnale che “per rendersi graditi al Vaticano non serviranno dichiarazioni sopra le righe, da guerriero culturale”.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.