Papa Benedetto XVI (foto LaPresse)

L'inquietudine lancinante dell'uomo postmoderno. Il nuovo libro del card. Sarah

Matteo Matzuzzi

La riflessione ratzingeriana è sul significato del silenzio, elemento “essenziale” da riscoprire nel caotico vivere contemporaneo che rischia di “dissolvere la grandezza della Parola”

Roma. Non era previsto che il Papa emerito Benedetto XVI scrivesse la prefazione a La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, il nuovo libro del cardinale Robert Sarah, prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti. Tant’è che nell’edizione francese edita da Fayard lo scorso autunno il testo di Joseph Ratzinger non è presente, così come non lo è nella prima americana della Ignatius Press. La “prima” ufficiale sarà per l’Italia, dove il volume uscirà per Cantagalli il 29 giugno prossimo, festa dei santi Pietro e Paolo.

 

  

Benedetto XVI ha datato il testo “nella Settimana di Pasqua 2017”, prima di apporvi la firma. Al di là dell’apprezzamento per il testo di Sarah, che lui creò cardinale nel 2010, la riflessione ratzingeriana è sul significato del silenzio, elemento “essenziale” da riscoprire nel caotico vivere contemporaneo che rischia di “dissolvere la grandezza della Parola”. “Chi oggi legge i commenti ai Vangeli, diventati sempre più voluminosi – scrive – alla fine rimane deluso. Apprende molte cose utili sul passato, e molte ipotesi, che però alla fine non favoriscono per nulla la comprensione del testo. Alla fine si ha la sensazione che a quel sovrappiù di parole manchi qualcosa di essenziale: l’entrare nel silenzio di Gesù dal quale nasce la sua parola”. Se non riusciremo a entrare in questo silenzio, anche la parola l’ascolteremo sempre solo superficialmente e così non la comprenderemo veramente”. Il libro, scritto ancora una volta con il giornalista francese Nicolas Diat, si compone di 365 pensieri sul tema, inviti alla meditazione e alla riflessione.

 

“Parlare del silenzio in un mondo dominato dal chiasso e dal frastuono è una vera sfida, una follia, perché le potenze mondane che cercano di plasmare l’uomo moderno escludono metodologicamente il silenzio. Indagare sul silenzio vuol dire avvicinarsi inevitabilmente al mistero di Dio e alla sua presenza silenziosa nella storia”, scrive il prefetto del Culto divino, nato in piccolo villaggio della Guinea e per più di vent’anni arcivescovo di Conakry, prima di essere chiamato a Roma da Giovanni Paolo II a ricoprire l’incarico di segretario della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli. “Possiamo tentare di parlare di Dio – aggiunge – solo a partire dalla nostra propria esperienza di silenzio. Perché Dio è avvolto nel silenzio e si rivela nel silenzio interiore del nostro cuore”. Scrive il porporato che “il nostro mondo non comprende più Dio perché parla continuamente, a un ritmo e a una velocità della luce, per non dire niente. La civiltà moderna non sa tacere, nega il passato e vede il presente come un vile oggetto di consumo. Guarda l’avvenire attraverso le ragioni di un progresso quassi ossessivo”. “Abbiamo la sensazione – osserva infine – che il silenzio sia divenuto un’oasi inattingibile. Senza rumore, l’uomo postmoderno cade in una inquietudine sorda e lancinante. E’ abituato a un rumore di fondo permanente, che lo rende malato e lo rassicura”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.