Ahmed al Tayyeb

Ci sarà tanta realpolitik nell'incontro tra il Papa e l'imam di al Azhar

Matteo Matzuzzi
“E’ in fase di preparazione per lunedì prossimo un’udienza del Papa con l’imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb. Non abbiamo ancora l’ora e i termini precisi ma si prevede che possa esserci”, ha detto giovedì in tarda mattinata padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana.

Roma. “E’ in fase di preparazione per lunedì prossimo un’udienza del Papa con l’imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb. Non abbiamo ancora l’ora e i termini precisi ma si prevede che possa esserci”, ha detto giovedì in tarda mattinata padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana. Le trattative andavano avanti da tempo e il passo decisivo è stato l’incontro dello scorso febbraio al Cairo, quando il segretario del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, mons. Angel Ayuso Guixot, e il nunzio in Egitto mons. Bruno Musarò, avevano consegnato al vice del Grande imam, Abbas Shuman, la disponibilità del Pontefice a ricevere a Roma al Tayyeb. La lettera recava in calce la firma del cardinale Jean-Louis Tauran, diplomatico di rango nonché presidente dell’organismo vaticano che si occupa di dialogo interreligioso. L’udienza sanerebbe la grave frattura risalente al gennaio del 2011, quando al Azhar – che è la massima istituzione sunnita sul pianeta – decise di interrompere ogni rapporto con Roma dopo la condanna pronunciata da Benedetto XVI in relazione all’attentato che aveva colpito una chiesa copta ad Alessandria, causando ventidue morti.

 

Al Tayyeb accusò Joseph Ratzinger di essersi intromesso negli affari di uno stato estero e sovrano. Da quel momento, una lunga e delicata fase negoziale aveva cercato di ricomporre i cocci di un dialogo che già prima dell’incidente, a ogni modo, risultava faticoso e precario. Ora la svolta, all’insegna del più puro realismo politico che fa da cardine all’attuale pontificato, la cui linea – perseguita dalla Segreteria di stato – è improntata a lasciare da parte le incomprensioni e ogni ostacolo che possa bloccare un dialogo fattivo e capace di portare frutto. L’esempio più evidente è Cuba, divenuta la base per abbracci diplomatici (Castro-Obama) e spirituali (Francesco-Kirill) sotto l’occhio del regime al governo da decenni e nonostante la repressione degli oppositori sia nota a ogni latitudine del globo. Lo stesso vale per la Cina, potenzialmente il paese con più cristiani al mondo – stando alle stime – e che è il vero obiettivo geopolitico di Francesco. Non è un caso, infatti, che sul dossier il Papa non si sbilanci mai, neppure nelle interviste o nei colloqui a braccio. Resta abbottonato, lasciando al cardinale Pietro Parolin – che Pechino la conosce bene – spiegare che un percorso di riavvicinamento è iniziato ma i tempi per un accordo “li conosce solo la Provvidenza”.

 

Francesco, quando di Cina ha parlato più ampiamente, ha sorvolato sulle stragi propiziate dal regime maoista nel corso dei decenni e sempre per il medesimo motivo: guardare alle possibilità che riservano il presente e il futuro piuttosto che quanto avvenuto nel passato. Un passaggio dell’intervista concessa qualche mese fa a Francesco Sisci per Asia Times è esaustivo: “I cinesi devono assumersi la responsabilità del loro cammino. Aggiungo: non bisogna essere amareggiati, ma essere in pace con il proprio percorso, anche se sono stati commessi degli errori. Io non posso dire che la mia storia sia negativa, non posso dire di odiare la mia storia. No, ogni popolo deve conciliarsi con la sua storia, con i suoi successi e i suoi errori. Questa riconciliazione porta molta maturità e crescita”. Un modello che vale anche per al Tayyeb, interlocutore considerato prezioso in chiave anti fondamentalista che però è un convinto assertore della necessità di cancellare dalle mappe lo stato di Israele: “La soluzione al terrore israeliano risiede nella proliferazione degli attacchi suicidi che diffondono terrore nel cuore dei nemici di Allah”. Quel che conta, diceva a questo giornale tempo fa l’islamologo gesuita egiziano Samir Khalil Samir, è il coinvolgimento di al Azhar nell’operazione volta a rivoluzionare dall’interno l’islam. Il presidente Abdel Fattah al Sisi andò proprio lì, a casa del Grande imam, a teorizzare la necessità di un aggiornamento delle dottrine islamiche ai tempi coerenti, una sorta di “Rinascimento” capace di fermare la deriva che porta a un’interpretazione letterale del Corano, vero propellente del jihadismo. Gettare le basi per una sorta di alleanza spirituale su questo fronte è quel che auspicano oltretevere.

Di più su questi argomenti:
  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.