Il cardinale prefetto della Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller (LaPresse)

Il cardinale Müller: “L'islam deve riformare se stesso. Bisogna dire che la violenza contraddice la volontà di Dio"

Matteo Matzuzzi
Negli Stati Uniti, intanto, si discute di islamismo e "ideologia coranica". E Hillary Clinton cambia idea: "Cristiani vittime di un genocidio".

Roma. E’ necessaria una riforma dell’islam, che però può partire solo dal suo interno. Anche se dire “che noi siamo avanzati e loro sono rimasti al medioevo sarebbe paternalistico e controproducente”. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, auspica in un’intervista al quotidiano tedesco Zeit che il mondo islamico compia quel “balzo innanzi” che lo faccia uscire dalle secche dell’ambiguità spesso manifestata dalle autorità religiose rispetto alla recrudescenza fondamentalista, come più volte hanno denunciato i vescovi mediorientali, tra cui il patriarca di Baghdad, Louis Raphaël I Sako. I politici e i dotti musulmani, a cominciare dai teologi, ha detto il cardinale Müller – che si è mostrato molto prudente anche sul dialogo ecumenico con le altre confessioni cristiane – dovrebbero porre al centro di ogni riflessione il fatto che “la violenza contraddice la volontà di Dio”. Una posizione analoga a quella del gesuita Samir Khalil Samir, islamologo di fama mondiale e già consigliere di Benedetto XVI. In una conversazione con il Foglio, padre Samir aveva sottolineato la necessità di “reinterpretare il testo coranico e tutto il sistema islamico. Tutte le religioni e tutti i pensieri hanno dovuto farlo. Perché il mondo evolve, spero, verso la pace e non la guerra. Anche la società civile ha dovuto (e deve) ricalibrare le norme precedenti. L’islam non l’ha fatto, ed è questo il suo dramma”, aveva aggiunto.

 

Che il dibattito sia vivace all’interno della realtà musulmana l’ha dimostrato anche il confronto andato in onda qualche sera fa sulla tv americana Pbs. Tema del confronto: la riforma dell’islam. La prima a intervenire era stata Manal Omar, vicepresidente del Middle East and Africa Center dello U.S. Institute of Peace: “Noi continuiamo a guardare il problema da una prospettiva religiosa, ma vorrei invitare la gente a tenere a mente la nostra storia in fatto di ‘questioni razziali’, la nostra paura dell’altro. Penso che questo sia ciò che sta emergendo ora, in particolare nella retorica di Donald Trump. Ed è una cosa che va ben oltre l’islam. Quel che dobbiamo affrontare è la violenza strutturale che è radicata nella nostra nazione”. Il magazine conservatore American Thinker ha commentato con toni sarcastici l’intervento di Manal Omar, scrivendo che “la causa del terrorismo non è la ‘struttura sociale’ o la ‘violenza strutturale’. Idiozie a parte, è l’ideologia coranica la fonte del problema”. Concetto, questo, fatto proprio e rilanciato con forza dall’altra partecipante al confronto televisivo, Asra Nomani, cofondatrice del Muslim Reform Movement ed ex giornalista del Wall Street Journal – nel 2003, entrando in una moschea del West Virginia, chiese di pregare nei posti riservati ai maschi: “La cosa per me più triste è che la versione dell’islam di Abu Bakr al Baghdadi ha molto in comune con l’interpretazione della religione musulmana praticata dai sauditi. E noi non stiamo affrontando questa realtà. Faccio un esempio: al Baghdadi sostiene che agli albori dell’islam noi avevamo gli schiavi e che ciò è scritto nel Corano, così come è acclarato che i musulmani erano autorizzati ad avere rapporti sessuali con i loro schiavi. E oggi ci troviamo davanti alla tragedia delle donne ridotte a essere schiave del sesso”.

 

[**Video_box_2**]Questo è un buon punto di partenza per la discussione, nota American Thinker, anche se la questione è assai più profonda: “L’islam non potrà mai essere riformato se i ‘riformisti’ si mettono alle spalle il Corano e iniziano a parlare di diritti sessuali o di questioni affini. Saranno sempre relegati a essere considerati americani e basta. I problemi sono tutti nel mondo islamico”, che in molti casi – come dimostrano i tentennamenti dell’ayatollah al Sistani, massima autorità sciita irachena, che non ha condannato la persecuzione dei cristiani nella piana di Ninive perché “tanto non mi ascoltano” – fatica ad ammettere la violenza perpetrata nei confronti di chi musulmano non è. Negli Stati Uniti è considerato imminente a giorni un documento del dipartimento di stato in cui si parlerà esplicitamente di genocidio per le popolazioni del vicino e medio oriente, includendo però unicamente gli yazidi ed escludendo i cristiani. Una posizione da cui s’è smarcata Hillary Clinton, candidata alle primarie democratiche per la Casa Bianca ed ex segretario di stato: “Ora abbiamo abbastanza prove per parlare di genocidio. E’ chiaro che è in atto una brutale campagna finalizzata a sradicare la presenza dei cristiani e delle altre minoranze nei territori medio orientali controllati dallo Stato islamico”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.