De Gennaro e il paradosso dei suoi accusatori

Massimo Bordin
Ragionare sui fatti, in un clima in cui molti berciano parole come “sveglia!” e “vergogna!!”, è fatica ingrata, però vale la pena provarci. Un primo fatto: le vicende del G8 di Genova vennero considerate di eccezionale gravità già mentre si svolgevano.

Ragionare sui fatti, in un clima in cui molti berciano parole come “sveglia!” e “vergogna!!”, è fatica ingrata, però vale la pena provarci. Un primo fatto: le vicende del G8 di Genova vennero considerate di eccezionale gravità già mentre si svolgevano. Non solo la morte del giovane Giuliani ma anche i fatti della Diaz e di Bolzaneto. Tanto è vero che, secondo fatto, il Parlamento approntò in poche settimane un comitato ad hoc per ascoltare i protagonisti di quelle vicende. Nessuno, tranne Rifondazione comunista, chiese le dimissioni del ministro dell’Interno o del capo della polizia, che da poco era De Gennaro. Si può pensare che fu giusto o sbagliato, sta di fatto che andò così. Naturalmente la vicenda ebbe una ricaduta giudiziaria.

 

De Gennaro fu assolto in primo grado, condannato in appello, definitivamente assolto dalla cassazione. Dal Viminale andò al coordinamento dei servizi segreti e il governo Monti lo vide sottosegretario con delega ai servizi. Il governo Letta lo nominò alla presidenza di Finmeccanica. Fu allora che venne di nuovo evocata la vicenda genovese, oggi di nuovo richiamata dopo la nota sentenza europea. Dunque il paradosso è duplice. Per gli incarichi di responsabilità dove De Gennaro avrebbe potuto in ipotesi reiterare il reato, per il quale peraltro è stato assolto, le critiche furono isolate. Da quando è a Finmeccanica sono cresciute. Secondo paradosso: si fanno grandi proclami antimafia ma i proclamatori plaudono alla messa in stato d’accusa di chi ha arrestato Riina, alla condanna di chi ha arrestato Santapaola, alle dimissioni di chi ha portato Buscetta in Italia.

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