John Grisham nel 2010 (LaPresse)

Grisham, dem e anti abortista, e i dubbi che l'America dovrebbe coltivare

Maurizio Crippa

L’intervista con sorprese del New York Times allo scrittore del Mississippi

Il paesaggio dopo la battaglia che abbiamo imparato a riconoscere come l’America – ogni volta più ammaccato: la battaglia #BLM, la battaglia di Capitol Hill, ora l’abolizione della Roe vs Wade – è fatto di contrapposizioni senza compromessi, di posizioni radicalizzate, di crescente incapacità anche solo a legittimare le posizioni altrui. E’ come se si stesse perdendo (non solo in America, va detto) la capacità della sfumatura, della contraddizione, di ammettere che esistono terreni minati per tutti, dove addentrarsi con cautela è necessario. L’aborto radicalizza sempre più questo dualismo. Eppure è un tema che i dubbi e le contraddizioni inviterebbero a coltivare. Spesso spiazzando anche le biografie personali o politiche.

  

Liz Cheney è una repubblicana “strongly pro life”, eppure è anche “strongly” nemica di Trump, l’ex pro choice alle cui nomine in Corte suprema si deve la sentenza contro l’aborto. Il padre di Liz, Dick, era con Bush un pro life senza estremismi, puntava alla riduzione del ricorso all’aborto e in questo la pensava come Bill Clinton. Joe Biden è un cattolico ex pro life che ha “overrulled” sé stesso e ora è timidamente pro choice. L’aborto incide perplessità profonde. Un esempio è la lunga bella intervista concessa al Magazine del New York Times dal “re del legal thriller” John Grisham – di cui è in uscita per Mondadori la raccolta di racconti Gli avversari – in cui lo scrittore espone liberamente le sue posizioni (contro) e i suoi dubbi, molti, sull’aborto.

  

Grisham è nato nel 1955 in Mississippi. Proprio da questo stato del sud è partita la causa Dobbs vs. Jackson. Grisham è stato avvocato in gioventù, è un democratico ed è stato deputato nel suo stato, sostenitore dei Clinton. Ma alla domanda “qual è stata la decisione moralmente più difficile che hai dovuto prendere come politico o come avvocato?”, risponde: “Ti racconto una storia. Una ragazza di 15 anni nella mia chiesa è rimasta incinta. I suoi genitori erano devastati. Rigorosi battisti del sud. Piccola città. Erano terrorizzati che le persone lo scoprissero. Sono venuti da me prima di andare dal ministro perché parlavano di adozione, di leggi. L’aborto li terrorizzava”. Era il 1982, lui aveva 27 anni. Prosegue: “Ricordo di aver pensato, queste persone si appoggiano troppo a me… Il punto è che mi sono reso conto che sulla questione dell'aborto, quella era una decisione che doveva essere presa da quella famiglia: quella ragazza, i genitori e nessun altro. Nessun altro dovrebbe essere nella stanza”. 

    
Un dilemma morale che poi, racconta, l’ha allontanato dalla professione in cui si stava facendo le ossa. Il giornalista è sorpreso: nessuno “compreso lo stato?”. Risposta: “Nessun governo, nessun legislatore, nessun giudice. È stato allora che ho iniziato a capire cosa c’è in gioco con l’aborto. Sono contrario all’aborto. Non volevo che abortisse, perché il bambino sarebbe stato in buona salute e il bambino è stato un grande regalo per qualcun altro”. La ragazza non abortì, il bambino fu dato in adozione, ma ci sono stati momenti in cui pensavo che la soluzione più rapida sarebbe stata un aborto”. Si parla di avvocatura, di libri, di politica. Poi il giornalista torna al punto infiammato: "Hai detto che sei contrario all’aborto. Per motivi religiosi?”. “Non sono mai stato in grado di sopportare l’idea dell’aborto su richiesta o delle donne che hanno aborti multipli solo perché rimangono incinte. E ho sempre pensato che l’aborto tardivo, gli aborti con parto parziale fossero qualcosa che non dovremmo tollerare perché il feto è vivo. Sono sempre stato deluso da quella nozione di aborto. Immagino che sia probabilmente un motivo religioso”.

 

Democratico, per quanto del sud, vorrebbe Trump processato, se c’è una idea che ha cambiato radicalmente è “la pena di morte, certo”. E’ contro l’aborto eppure riflette, coi suoi dubbi: “Allo stesso tempo non sai cosa farai finché non ti trovi in quella situazione. E’ allora che diventa una questione di scelta”. 

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"