La testimonianza

La battaglia della repubblicana Liz Cheney contro Trump

"Abbiamo l’obbligo di difendere i nostri valori all’estero e  in patria", dice la deputata americana che ai suoi colleghi ripete: "Nessun popolo e nessuna nazione possono difendere e tenere in piedi  una Repubblica costituzionale se accettano un leader che è  in guerra con la democrazia"

Pubblichiamo il discorso che Liz Cheney, deputata repubblicana degli Stati Uniti, ha tenuto mercoledì sera alla Reagan Library durante il ciclo di incontro “Time for choosing”. Cheney è la vicepresidente della Commissione d’inchiesta che indaga sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

 
E’ sempre bello essere qui, ricordare Ronald Reagan e farlo in particolare oggi – oggi che vorrei parlare di libertà. Voglio parlare di cosa significa la libertà e del costo della nostra libertà.
Ho avuto la possibilità nella mia vita e nel mio lavoro di lavorare in luoghi in cui la democrazia non c’è, in cui non c’è un governo libero, e ho avuto l’opportunità di trascorrere del tempo con persone che hanno dovuto fare sacrifici incredibili per poter esercitare il loro diritto di voto. Ho fatto l’osservatrice elettorale all’inizio degli anni Novanta nel nord del Kenya, e uno dei posti in cui siamo andati in missione per controllare il processo elettorale era una scuola. Siamo arrivati in questa scuola con una squadra di osservatori internazionali, gli elettori si erano messi in fila per votare, poi sono arrivati i soldati delle truppe governative e li hanno cacciati via. Il nostro team  era composto da esponenti democratici e repubblicani degli Stati Uniti, e ci siamo detti: qui non ci sarà nulla da osservare, non ci sarà nulla da monitorare perché la gente è stata cacciata via. Quindi ci siamo messi a pensare a cosa avremmo dovuto fare. Circa un’ora dopo, quelle persone hanno iniziato a ritornare:  camminavano sotto il sole cocente, sapevano che i soldati erano lì, pronti a impedire loro in ogni modo di votare, ma erano così decisi e così determinati che tornarono indietro a rimettersi in fila. Non ho mai dimenticato quell’episodio e quell’esempio. 


Ho anche avuto l’opportunità di lavorare in Russia. Nel 1992 sono andata a Niznij Novgorod, che ai tempi dell’Unione sovietica si chiamava Gorky. Il giovane sindaco di Nižnij Novgorod voleva che la sua città e il suo paese fossero liberi e decise di privatizzare le imprese della città. Noi lo stavamo aiutando. Non ho mai dimenticato i nostri incontri, lui dall’altra parte del tavolo che parlava di libertà e di cosa significasse essere in grado di portare e guidare il suo popolo nel raggiungimento della libertà. Il suo nome era Boris Nemtsov, è stato assassinato da dei criminali che seguivano le istruzioni di Vladimir Putin. Rappresentava una minaccia per Putin perché si batteva per la libertà. 
Ho lavorato a Varsavia nel 1990, e non dimenticherò mai una giovane donna che lavorava all’ambasciata, una giovane donna polacca che lavorava anche lei nella nostra ambasciata. Ricordo di aver parlato con lei, ricordo che una volta mi disse: “Ho molta paura che la gente dimentichi com’era vivere sotto il dominio sovietico”. Allora pensavo che no, che nessuno avrebbe dimenticato. E invece sì, le persone dimenticano, le persone dimenticano il prezzo della libertà. 


Ho avuto anche l’opportunità di parlare con Natan Sharansky, che è stato nei gulag sovietici per anni, e ricordo che Natan mi ha raccontato una storia che aveva già detto a molti altri. Quando era nel gulag,  lui e i suoi compagni di prigionia si passavano alcuni  messaggi di Ronald Reagan – quelli  in cui lui diceva che gli Stati Uniti erano con loro, al loro fianco, che noi eravamo al fianco di quei prigionieri incarcerati per le loro opinioni, che lottavano per la loro libertà – e di quanto questo significasse per loro. 
Qualche anno fa ho incontrato un giovane uomo – ha la mia età e quindi penso che sia giovane –  che era fuggito da una prigione di Cuba quando aveva 14 anni, e si è imbarcato da solo su una barca per venire negli Stati Uniti. Gli ho chiesto: come facevi a sapere a 14 anni – questo era prima di internet – che avresti dovuto rischiare tutto per venire in America? Cosa ti ha dato questa certezza? Senza  esitazione ha risposto: i discorsi di Ronald Reagan. Gli ho chiesto come avesse fatto a sentire i discorsi di Reagan e mi ha spiegato che lui e la sua famiglia avevano una radio e di notte la ascoltavano con una coperta sulla testa, in modo che i vicini non potessero sentire, ma erano in grado di ricevere Radio Martì e sentivano Ronald Reagan che parlava di libertà.
Proprio qui, qualche anno fa, ho incontrato il ministro della Difesa di uno dei Paesi baltici. Mentre chiacchieravamo, gli ho raccontato questa storia e lui mi ha guardato e mi ha detto: mi è successa la stessa cosa, è la mia vita. Gli ho chiesto che cosa intendesse dire e lui mi ha risposto che quando era un ragazzino e cresceva dietro la cortina di ferro, la sera guardava la televisione finlandese e ascoltava Ronald Reagan. Disse che i suoi genitori gli avevano detto che Reagan era un grande uomo e che l’America era un grande paese.


Ho potuto conoscere il potere della libertà e della fede quando mi trovavo in Kenya a metà degli anni Ottanta e Papa Giovanni Paolo II venne in visita. Andai ad ascoltarlo mentre parlava della sua fede e seppi poi, ovviamente, quando lavoravo in Polonia, della differenza che aveva fatto in quel paese. Una delle esperienze più commoventi che ho avuto è stata con Papa Giovanni Paolo II e mio padre, intorno al 2004: il Papa prese la mano di mio padre, lo guardò negli occhi e disse: “Dio benedica gli Stati Uniti d’America”. E so che Dio ci ha benedetto, che Dio ha benedetto l’America, ma la nostra libertà sopravviverà solo se la proteggeremo, se prenderemo sul serio il nostro dovere e i nostri obblighi. 


Oggi ci troviamo di fronte a minacce alla nostra libertà all’estero in tutto il mondo e qui da noi, in patria. L’elenco di queste minacce va dalla Russia alla Cina, dall’Iran alla Corea del nord: gli avversari dell’America sono di certo in marcia. Nelle ultime 48 ore abbiamo avuto la buona notizia della Svezia e della Finlandia che diventeranno membri della Nato e credo che questa sia una lezione importante per Vladimir Putin. E’ il contrario di quello che si aspettava: se sperava che la sua invasione in Ucraina avrebbe portato a un indebolimento della Nato, è invece riuscito a espandere la nostra Alleanza.
Anche qui abbiamo sfide significative, le politiche economiche dell’Amministrazione Biden hanno contribuito alla peggiore inflazione degli ultimi 40 anni, stiamo assistendo all’espansione della regolamentazione governativa che uccide i posti di lavoro e la crescita economica, la situazione al confine meridionale è insostenibile,  pericolosa, e dobbiamo ottenere il controllo del nostro confine meridionale. 


Sono una repubblicana conservatrice, e credo profondamente nelle politiche di governo limitate alla bassa tassazione e  alla forte difesa nazionale. Credo che la famiglia sia il centro della nostra comunità e delle nostre vite, e credo che queste siano le politiche giuste per la nostra nazione. Ma so anche che in questo momento stiamo affrontando una minaccia interna che non abbiamo mai affrontato prima: un ex presidente che sta tentando di scardinare le fondamenta della nostra Repubblica costituzionale, e che è aiutato dai leader repubblicani e dai funzionari eletti che si sono resi volentieri ostaggi di quest’uomo pericoloso e irrazionale. Oggi alcuni nel mio partito stanno abbracciando l’ex presidente Trump, e anche dopo tutto quello che abbiamo visto, stanno dando il loro consenso alle sue bugie. Molti altri chiedono di non andare al confronto con Trump, di guardare altrove: questa è certamente la strada più facile, basta guardare alle minacce che stanno affrontando i testimoni che sono venuti davanti alla Commissione del 6 gennaio per capire la natura e l’entità di questa minaccia. Ma sostenere che la minaccia posta da Donald Trump possa essere ignorata significa mettere da parte la responsabilità che ogni cittadino, ognuno di noi, ha di perpetuare la Repubblica. Non dobbiamo farlo e non possiamo farlo, Ronald Reagan disse che sta a noi, nel nostro tempo, scegliere e scegliere saggiamente tra il duro ma necessario compito di preservare la pace e la libertà e la tentazione di ignorare il nostro dovere e sperare ciecamente nel meglio, mentre i nemici della libertà diventano sempre più forti giorno dopo giorno. Nessun partito, nessun popolo e nessuna nazione possono difendere e tenere in piedi  una Repubblica costituzionale se accettano un leader che è  in guerra con lo stato di diritto, con il processo democratico o con la transizione pacifica del potere, con la costituzione stessa. Mentre il quadro della situazione si sta delineando con la Commissione del 6 gennaio, è ormai chiaro che gli sforzi che Donald Trump ha supervisionato e intrapreso erano ancora più agghiaccianti e minacciosi di quanto potessimo mai immaginare.
 

Come abbiamo dimostrato, Donald Trump ha tentato di rovesciare le elezioni presidenziali, ha tentato di rimanere in carica e di impedire il trasferimento pacifico del potere presidenziale. Ha convocato una folla a Washington, sapendo che il 6 gennaio fosse armata, sapeva che erano arrabbiati e ha diretto la folla violenta a marciare sul Campidoglio per ritardare o impedire del tutto il conteggio dei voti elettorali. Ha tentato di andare lì con loro, e quando le violenze erano in corso si è rifiutato di intervenire per dire ai rivoltosi di andarsene. Al contrario, ha incitato ulteriori violenze twittando che il vicepresidente Mike Pence era un codardo. Ha detto che Mike se lo meritava e che non avrebbe fatto nulla per rispondere alla possibilità di impiccare di Mike Pence. Questo non è negabile. E’ anche doloroso per i repubblicani accettarlo. E penso che tutti noi dobbiamo riconoscere e capire che cosa significa dire certe parole, che cosa significa quando certe cose succedono. Ma ecco la realtà che affrontiamo oggi come repubblicani, quando pensiamo alla scelta che abbiamo di fronte: dobbiamo scegliere. Perché i repubblicani non possono essere leali con Donald Trump e leali alla Costituzione allo stesso tempo. In questo momento, mentre riflettiamo su questa scelta, mentre io penso a come sono arrivata a questa scelta, la prima cosa che mi viene in mente è che arrivo a questa scelta come madre. Una madre impegnata a garantire che i miei figli e i loro figli possano continuare a vivere in un’America dove sia garantito il trasferimento pacifico del potere. Dobbiamo assicurarci di vivere in una nazione che sia governata dalla legge e non dagli uomini. Arrivo a questa scelta come americana, come cittadina della più grande nazione che Dio abbia mai creato sulla faccia di questa terra. Arrivo a questa scelta come persona di fede, come qualcuno che crede profondamente che i nostri diritti provengano da Dio e non dal governo, e sempre consapevole che dobbiamo pregare come se tutto dipendesse da Dio, perché è così, e lavorare come se tutto dipendesse da noi, perché è così. L’America è eccezionale. Siamo una nazione eccezionale. Siamo una nazione buona e grande, e la nostra storia ci insegna che gli americani comuni in ogni generazione hanno fatto cose straordinarie, hanno fatto cose eroiche. I nostri uomini e le nostre donne in uniforme hanno fatto l’ultimo sacrificio per difendere la nostra libertà. E questo compito adesso è nostro.


Nel suo discorso inaugurale il presidente Kennedy disse che nella  storia del mondo ci sono state solo poche generazioni che hanno avuto il ruolo di difendere la libertà nel momento di massimo pericolo. Oggi questa responsabilità è nostra, ed è una magnifica responsabilità, è una benedizione che questo sia il nostro dovere e il nostro obbligo. Ma, cari colleghi americani, siamo sull’orlo di un abisso. Dobbiamo tornare indietro, dobbiamo tirarci indietro.  Uno dei miei colleghi democratici di recente mi ha detto che non vedeva l’ora che arrivasse il giorno in cui lui e io potessimo essere di nuovo in disaccordo. E, credetemi, condivido questo sentimento, perché quando potremo essere di nuovo in disaccordo sulla sostanza e sulla politica, significherà che la nostra politica si sarà raddrizzata, significherà che avremo preso la decisione di respingere le forze antidemocratiche, di respingere la tossicità, di respingere alcuni dei peggiori tipi di razzismo, di bigottismo e di antisemitismo che caratterizzano una parte troppo grande della nostra politica. La storia ci ha insegnato che ciò che inizia con le parole finisce con il peggio, e noi dobbiamo rifiutare tutto ciò. Quindi, nonostante io sia consapevole che arriveremo a un giorno in cui potremo ricominciare a non essere d’accordo sulla sostanza e sulla politica, penso che sia importante per noi cogliere questo momento per metterci d’accordo su come debba essere questo futuro.