Una manifestazione di sostenitori del ddl Zan a Milano (foto LaPresse)

Espungere la teoria gender dal ddl Zan è un buon compromesso

Giuliano Ferrara

Un atto elementare di cautela culturale e di controassicurazione rispetto ai rischi educativi, civili e di diritto di una scelta tanto radicale e finora tanto oscuramente argomentata. Bravi renziani

La censura legale dell’omofobia e della transfobia, quando siano atteggiamenti violenti e intolleranti contro la persona e non posizioni di pensiero o stati d’animo, avrebbe probabilmente una maggioranza sicura in Parlamento. Invece l’identità di genere richiamata nel disegno di legge Zan divide. Tanto più adesso che, con una mossa politicamente astuta e culturalmente comprensibile, i renziani hanno chiesto di derubricare questo simbolo ideologico controverso, via emendamento, e di tornare alla formulazione della legge Scalfarotto, che di genere come concetto “performativo” distinto dal sesso e dall’orientamento sessuale non si occupava.

 

Non si sente il bisogno di una discussione senatoriale o camerale su Judith Butler, la filosofa dell’identità di genere, e sui suoi agguerriti avversari nel mondo della cultura e della saggistica democratico-liberale o perfino femminista. Sarebbe una faccenda un po’ complicata per la quale non sono certe le competenze dei discussant.

 

Ma a occhio, nonostante la grottesca lettera dei 16 leader europei che hanno abbracciato anche l’identità di genere come un diritto umano fondamentale, e dunque da promuovere nel campo dell’educazione pubblica, quasi tutti capiscono senza sforzo che un conto è tutelare gli omosessuali e i transessuali dall’intolleranza, un altro conto è stabilire per legge che esiste uno spazio libero di determinazione di ciò che tu vuoi essere sul piano sessuale, uomo donna o niente di tutto questo. O meglio. Questo spazio esiste, nella ricerca, nella libertà di pensiero e azione di gruppi d’avanguardia, in una certa misura anche nella pratica comune, ma è difficile considerare la sua tutela giuridica come un diritto umano fondamentale.

 

Farlo non vuol dire legittimare ciò che è sempre legittimo, il libero gouvernement de soi. Farlo vuol dire decretare un salto che i filosofi chiamerebbero “ontologico” nella percezione che uomini e donne hanno di sé e del mondo. Vaste programme. Sei libero e tutelato nell’esercitare il tuo rapporto personale o di gruppo con l’orientamento sessuale, fino a cambiare sesso anche clinicamente, ovvio, ma non ha una base legale protetta l’idea, peraltro libera come idea, che l’anagrafe biologica e burocratica, che ti iscrive come maschio o femmina all’origine, esattamente come fa la Scrittura e come fa da millenni il senso comune umano, è una menzogna frutto di oppressione e dominazione. Non si può pretendere tutto dalla vita, anche dalla vita legale di un parlamento e di uno stato democratico e di diritto di cui il parlamento è l’articolazione fondamentale nei paesi liberali.

 

Lo stadio di avanzamento dell’identità di genere, e tutti farebbero una cosa giusta a prenderne atto, appartiene alle università, alla mobilitazione nella guerra culturale e politica sul tema, al gioco senza frontiere né limiti del pensiero e della ricerca. Fissare in una legge che non esiste maschio né femmina se non nella scelta soggettiva ripetuta e forzata da una cultura vuoi patriarcale vuoi femminista, e questo perché sulla scorta di Michel Foucault e della French Theory alcune università americane, case editrici, fanzine e altro si sono incapricciate della faccenda anche con densità e pesantezza di stile filosofico, bè, questo è un altro discorso. Espungere la teoria azzardata e spericolata da una legge è un atto non solo di genuino compromesso, un modo prudente di procedere nel tempo, è anche un atto elementare di cautela culturale e di controassicurazione rispetto ai rischi educativi, civili e di diritto di una scelta tanto radicale e finora tanto oscuramente argomentata. Bravi renziani.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.