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I falsi amici della libertà

Claudio Cerasa

Sul gender liberi di pensarla come si crede. Ma non esiste diritto che possa considerarsi come tale se si limita la libertà d’espressione. La differenza fra tolleranza e legittimazione: lezioni dal Guardian 

Non si può discutere davvero di diritti senza mettere al centro del dibattito pubblico un diritto universale che mai dovrebbe essere schiacciato dagli altri: la libertà di espressione. Il numero domenicale del Guardian ha dedicato un formidabile editoriale al dibattito sul gender e ha offerto ai suoi lettori un elemento di riflessione per nulla scontato, considerando il fatto che il giornale in questione è lo stesso che meno di un anno fa costrinse una sua giornalista, Suzanne Moore, a lasciare il quotidiano per via di alcune opinioni sul gender ritenute offensive. Il Guardian, citando alcuni esempi di donne punite, censurate e persino aggredite fisicamente per le loro idee critiche sul gender, ha scelto di rompere gli indugi e di prendere una posizione forte e intelligente sul tema: qualunque sia la tua opinione sull’orientamento sessuale, e sul genere, non puoi dimenticarti che nessuna opinione può prescindere dal diritto assoluto di garantire all’altro la libertà di espressione: una democrazia sana, scrive il Guardian, non può prosperare se un cittadino si trova in una condizione tale da avere il timore di essere sanzionato, punito o censurato per ciò che si pensa.

Il punto sollevato dal Guardian non riguarda solo il rischio culturale di essere squalificati a vita per aver espresso un’opinione critica su questi temi (il Guardian ricorda come due settimane fa la Royal Academy abbia annunciato con un post che non avrebbe più richiesto il lavoro dell’artista Jess de Wahls a causa delle sue opinioni “transfobiche” contenute in un post  su un blog fatto nel 2019), ma riguarda indirettamente anche rischi diversi come possono essere quelli di trasformare leggi pensate per difendere alcune libertà in leggi destinate a offenderne altre (restringere il perimetro normativo delle libertà di pensiero, come potrebbe fare il ddl Zan, consentirebbe purtroppo di mettere nelle mani di un giudice ogni discrezionalità interpretativa e trasformare in un reato anche ciò che dovrebbe essere un diritto, ovvero il pensiero, una contraddizione mica da poco per chi vuole difendere le libertà).

 

A offrire un punto di vista ulteriore per provare a inquadrare l’argomento affrontato con successo dal Guardian è stata anche qualche giorno fa un’importante filosofa francese di nome Chantal Delsol, fondatrice dell’istituto di ricerca Hannah Arendt, che in un editoriale pubblicato sul Figaro ha centrato una questione altrettanto cruciale: la necessità di saper distinguere fra tolleranza e legittimazione. In una società liberale, scrive Chantal Delsol, la tolleranza è essenziale e per questa ragione vengono spesso legalizzati i comportamenti più disparati, a condizione che questi non vadano a ledere diritti altrui. Ma tollerare, nel senso etimologico del termine, non significa approvare, significa fare di tutto affinché si possa difendere il diritto d’espressione anche di chi non la pensa come te. Nel momento in cui la società decide di trasformare la tolleranza in una legittimazione, nel momento in cui cioè si passa dal dovere di tollerare al dovere di legittimare, avviene però un salto logico decisivo, che costringe il singolo cittadino a dovere avallare e giudicare giusti degli atteggiamenti fino a quel momento semplicemente tollerati. In una società liberale, dunque, il dovere della tolleranza non coincide con un obbligo di legittimare moralmente tutte le posizioni in campo ma coincide piuttosto con l’obbligo di garantire a tutti una libertà di pensiero, e di coscienza, non sanzionabile.

L’editoriale del Guardian e il punto di vista della filosofa francese ci ricordano che una società liberale con gli anticorpi giusti per affrontare il tema dei diritti, e del gender, è quella in cui si ha la forza di distinguere fra tolleranza e legittimazione ed è quella in cui si ricorda che non esiste diritto che possa considerarsi come tale se quel diritto limita la libertà d’espressione altrui. Una buona discussione pubblica su questi temi, forse, invece che occuparsi della fuffa, dovrebbe ripartire da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.