"Quei miei due figli diversi dagli altri"

Giulio Meotti

Il giornalista americano JD Flynn ha adottato due bambini Down. “Che società è dove può nascere solo chi è forte e dichiara guerra ai più deboli? Max e Pia ci hanno insegnato cosa significa essere umani”

Ogni anno, il 21 marzo, si celebra la Giornata mondiale della sindrome di Down. Spot con ragazze trisomiche, un atleta qui, una studentessa là, testimonial  contro il bullismo. Nei restanti 364 giorni  vige la legge del taglione prenatale. Non ne stanno nascendo praticamente più, con punte del 90-95 per cento di eliminazioni  in tutta Europa. I trisomici che vediamo per strada generalmente hanno  almeno trent’anni. Sono i “sopravvissuti” della selezione. JD Flynn, ex direttore della Catholic News Agency, di questi sopravvissuti ne ha adottati due. “Ho tre figli, due dei quali hanno la sindrome di Down: Maximilian, che ha appena compiuto nove anni, e Pia, che ne ha appena compiuti otto”, racconta Flynn al Foglio. “Sono bambini meravigliosi, deliziosi e un dono di Dio. Sono una grazia nelle nostre vite, una grazia immeritata. Max e Pia sono entrambi adottati. Lui quando aveva dieci giorni. Pia è venuta con noi il giorno in cui è nata. Avevamo molto da imparare e abbiamo ancora molto da imparare. Ma la lezione più importante è stata quella di mettere da parte le nostre aspettative e di vivere i nostri figli non come pensiamo che dovrebbero essere, o come gli altri pensano che dovrebbero essere, ma come sono, con i  limiti e le abilità che li rendono unici come succede a tutti noi. Abbiamo dovuto reimpostare molti aspetti della nostra vita famigliare. A causa dei nostri figli abbiamo dovuto imparare a trascorrere del tempo con persone molto diverse da noi. A me e mia moglie piace leggere, amiamo il linguaggio, e i nostri figli usano un linguaggio molto semplice, quasi inesistente. Abbiamo dovuto imparare a essere presenti in  modo nuovo e diverso, in una comunione del cuore piuttosto che dell’intelletto. Abbiamo dovuto imparare a rallentare il nostro ritmo, non in senso romantico, ma perché i nostri figli impiegano molto tempo per completare compiti a volte semplici e hanno bisogno di più assistenza di quella che a volte vogliamo dare loro. Dobbiamo riconoscere che non stanno perdendo tempo o sono ostinati, ma si muovono e sperimentano il mondo  in un modo molto diverso. E, naturalmente, richiedono terapie, medici e altri esperti per aiutarli a imparare a fare le cose che vogliono vivere al massimo delle loro potenzialità. Hanno avuto problemi di salute – mia figlia ha avuto due volte il cancro – e hanno difficoltà sensoriali. Ma siamo costantemente sorpresi dalla gioia. Siamo rinnovati nell’amore, perché abbiamo scoperto, sempre di più, che il significato della vita è nell’intima vulnerabilità che condividiamo gli uni con gli altri e questo richiede l’accettazione delle loro debolezze e delle nostre. Abbiamo scoperto che aiutarci a vicenda – essere interdipendenti l’uno con l’altro – riempie le nostre vite di amore, in un modo che i nostri ideali americani di indipendenza non lo fanno. Mentre l’indipendenza ci lascia soli, l’interdipendenza, che è più difficile, ci dà un significato. Abbiamo scoperto che la dignità di una persona non viene da ciò che può fare, ma da ciò che è, dal fatto che Dio lo ha creato a sua immagine. Abbiamo scoperto che i nostri figli, che sono molto diversi dalle persone ‘normali’, hanno una gamma completa di emozioni, pensieri, desideri, frustrazioni e che vogliono amare ed essere amati”. 


Non è  facile. “Ci sono momenti in cui la nostra vita sembra più difficile di quella degli altri genitori. Ma sebbene sia diverso, non sono sicuro che sia più difficile. Ogni famiglia porta la propria croce, che si tratti di salute, instabilità nelle relazioni, sfide con la dipendenza, o finanziarie, o qualsiasi altra cosa. Le croci che abbiamo sono quelle pratiche che vengono dai bambini che hanno bisogno di aiuto in tante cose. Ma penso che sia quello che facciamo con le nostre croci che danno completezza alla nostra vita. I disabili – almeno i nostri figli disabili – ci hanno regalato una meravigliosa comunità di parenti, amici, sacerdoti, vicini di casa, che ci aiutano. E’ molto difficile chiedere aiuto, perché ci fa sembrare deboli e incapaci. Questo ci ha dato il dono di una comunità autentica. Ed è guardare i nostri figli chiedere così spesso aiuto – anche con i compiti più elementari – che ci ha insegnato la bellezza. Hanno stretto bellissime amicizie allungando le mani e chiedendo aiuto, e ci hanno dato la prospettiva di quanto sia appagante. Max è sensibile, generoso. Ama aiutare il fratellino, o mamma e papà in cucina o nelle faccende domestiche. Ama stare semplicemente alla presenza delle persone che ama e quella presenza è un grande dono. Pia è divertente e forte, riempie la  casa di ‘battute’ che non capiamo veramente. E nostro figlio Daniel, che sta imparando dal fratello e dalla sorella, li vede come persone completamente normali: il suo cuore sta imparando fin dalla giovane età a considerare le persone per quello che sono, a trovare modi per conoscerle e amarle. Questa è una fonte di ricchezza. Certo, litighiamo, ci frustriamo, ci stanchiamo, abbiamo bisogno del nostro spazio e del nostro tempo. A volte, il nostro matrimonio è consumato. E cerchiamo di vedere che questa vita famigliare che ci è stata data è un grande dono, anche se richiede, molto spesso, dei veri sacrifici”. Ci sono paesi, dall’Islanda alla Danimarca, che sono già arrivati o presto arriveranno a costruire un “mondo Down free”. “Le persone con sindrome di Down e altre disabilità genetiche non ci sono familiari. Kate e io non conoscevamo persone con sindrome di Down prima di adottarli. E siamo portati a credere che le loro vite siano sofferenza o infelicità, o una causa di sofferenza o infelicità per le persone che li circondano. Un’indagine dopo l’altra mostra che le famiglie con persone disabili sono più soddisfatte delle altre. Ma non lo crediamo finché non lo vediamo. Penso che molte donne abortiscano bambini con sindrome di Down per un falso senso di compassione. Alcuni immaginano di risparmiare ai figli una vita di sofferenze e difficoltà. Ci sono davvero difficoltà. Ma è un errore credere che la vita delle persone Down sia solo un disagio. Ed è un errore credere che potremo sfuggire alla sofferenza in questa vita. Non possiamo. Possiamo solo scegliere di trovarvi un significato. La mia vita è stata così incommensurabilmente arricchita conoscendo e amando le persone Down. Sono stato costretto a cambiare il mio stile di vita, i miei obiettivi, i miei piani. E il cambiamento non è facile. Ma questi cambiamenti sono per il meglio. E’ una ritrovata e profondamente confortante intimità con Dio. Ci preoccupiamo dell’incertezza di ciò che accadrà. Ma non possiamo controllare il futuro. Non sappiamo quali bisogni avranno i nostri figli. Non sappiamo quale angoscia dovremo affrontare. Ma sappiamo che per una relazione di gioia, il rischio dell’incertezza – un rischio endemico a tutte le relazioni – vale la pena. Siamo più felici quando viviamo per gli altri che quando viviamo per noi stessi. E’ difficile da credere, ma è così”. 


In America la bioetica è ormai dominata dal filone di Peter Singer, che ha teorizzato anche l’infanticidio post-nascita dei bambini affetti da trisomia. “Giovanni Paolo II ha parlato della ‘cultura della morte’ come una ‘guerra dei potenti contro i deboli’. Questa è un’immagine potente. E quella guerra – con l’eutanasia involontaria e l’aborto – diventa sempre più pronunciata. Possiamo vederlo nei paesi europei e negli Stati Uniti. Ma qualsiasi sistema etico che maltratti i più deboli è in definitiva cannibalistico e finisce con la centralizzazione del potere tra i forti e l’emarginazione di tutti gli altri. Papa Francesco è stato un testimone importante per coloro che si trovano nelle ‘periferie esistenziali’ e nella nostra famiglia siamo molto grati per quella testimonianza. Se non difendiamo i deboli, chi ci difenderà quando saremo noi deboli, infermi o improduttivi? Singer considera la razionalità come la base della dignità umana. E’ un errore filosofico che confonde la funzione di una cosa con la sua natura”. Flynn critica una certa visione della medicina. “I medici hanno un approccio molto tecnocratico alla vita umana e sono addestrati a valutare la sofferenza come un ostacolo alla qualità della vita. Ma le vite dei sofferenti non mancano di qualità per coloro che hanno occhi per vedere. Un’etica che vede chi ha bisogni gravi – i disabili, gli anziani, gli infermi – al centro di una comunità umana, è un’etica compassionevole e cristiana. Jérôme Lejeune lo aveva capito e si lamentò del fatto che la sua ricerca fosse stata usata per distruggere la vita. Papa Francesco ha chiesto un rinnovamento dell’etica medica che abbia una comprensione del significato della sofferenza. Ha chiesto un’antropologia medica che non sia tecnocratica, che non misuri il valore della vita dalla sua capacità di offrire un contributo economico. Il predominio dell’economia sugli altri beni antropologici – vita familiare, amore, compassione, dignità – è una grande tragedia. I medici che praticano la medicina antropologica che vede la dignità in tutta la vita umana sono spesso eroi e noi ne siamo grati”.

 

Che tipo di società sarà se decidiamo che solo i bambini “più adatti” hanno diritto alla vita? “Che tipo di società siamo già?”, conclude al Foglio Flynn. “Lo abbiamo già deciso. E il risultato è che gli anziani e gli infermi subiscono pressioni per essere sottoposti a eutanasia, l’etica sanitaria esclude i più vulnerabili, i disabili sono giudicati con una scarsa qualità della vita. E in effetti, questo si aggraverà in modo esponenziale. Una società che valorizza le persone per la loro ‘forma fisica’, soprattutto in senso tecnocratico, subordina tutti i beni umani – vita famigliare, tempo libero, arte, cultura, fede – all’economia. Non è questo il modo di vivere. Ma è il modo in cui ci permettiamo spesso di vivere in occidente, e a nostro discapito. Quindi i disabili – oltre ad avere dignità e diritto alla vita di per sé – ci ricordano che la vita riguarda qualcosa di più, qualcosa di trascendente, e non solo il nostro potere di guadagnare o produrre. La misura del nostro valore non è quanti soldi guadagniamo per noi stessi o per il nostro datore di lavoro. E non lo sarà mai. I disabili visibilmente incoraggiano anche tutti noi ad accettare le nostre debolezze nascoste, disabilità, mancanze e ad accettare aiuto. Ciò crea una cultura dell’interdipendenza e della coesione, per la quale siamo stati creati e di cui abbiamo bisogno. Ma, cosa più importante, i disabili hanno una dignità a tutti gli effetti. Non per insegnarci cosa significhi essere umani, ma semplicemente perché ogni persona disabile è un essere umano, creato da Dio, e ogni essere umano dovrebbe avere il diritto alla vita che Dio gli ha dato. E’ semplicemente sbagliato costruire una società in cui non rispettiamo questo diritto e immaginiamo di essere più saggi di Dio su chi dovrebbe vivere”. 


Max ha un nome importante. “L’ho chiamato così da Maximilian Kolbe, che ha rinunciato alla sua vita per amore di un’altra persona. Il suo eroico sacrificio ad Auschwitz, in cui ha scambiato la propria vita con un prigioniero condannato a morte, è un amore  vivificante. Max e Pia vengono adottati: le loro madri naturali, le donne che hanno dato loro la vita, hanno  fatto sacrifici eroici per i loro figli. Di fronte alle pressioni economiche e sociali, hanno scelto di farli nascere, e poi hanno fatto lo straziante sacrificio dell’adozione, scegliendo, per il bene dei propri figli, di permettere ai loro neonati di entrare a fare parte di una nuova famiglia, che è un enorme sacrificio personale da fare per qualsiasi madre. I loro sacrifici, straordinari e belli, sono il tipo di amore che cerchiamo di imitare. Abbiamo chiamato nostro figlio Maximilian Kolbe per ricordare quel tipo di amore sacrificale”.


Nei giorni scorsi la notizia scientifica è stata il “miracolo” della creazione della vita fuori dal corpo della madre. All’istituto Weizmann in Israele, i ricercatori sono riusciti a coltivare  embrioni di topo in un utero artificiale. Il dottor Jacob Hanna, a  capo del team, ha affermato  che la sua ricerca “consentirà agli scienziati di far crescere embrioni umani fino alla quinta settimana”. Paul J. Tesar, biologo della Case Western Reserve University School of Medicine, dice che “il Sacro Graal della biologia dello sviluppo è capire come una singola cellula, un ovulo fecondato, può produrre tutti i tipi di cellule specifici nel corpo umano e crescere in 40 trilioni di cellule. Dall’inizio dei tempi, i ricercatori hanno cercato di sviluppare modi per rispondere a questa domanda”.

 

 


Paradossalmente, mentre diventavamo sempre più bravi a creare letteralmente la vita, affiniamo anche le nostre capacità a eliminarla. L’Islanda è già “Down Free”. La Danimarca a dicembre è finita in una copertina dell’Atlantic sugli “ultimi bambini Down”. Nove gravidanze su dieci in Norvegia vengono abbandonate. In Olanda siamo al 92 per cento, con il ministro della Salute, Edith Schippers, che ha detto che “la società deve accettare” che i bimbi Down scompaiano dalla nostra vista. Al genetista olandese Hans Galjaard è stato chiesto: “Se fosse reso possibile, pensa che la sindrome di Down dovrebbe scomparire dalla società?”. Ha risposto: “Sì, questa era una delle mie motivazioni’”. Il Mundo: “La sindrome di Down sta scomparendo in Spagna”. In Francia siamo al 96 per cento di nascite in meno. In Italia cifre simili. E’ il Mondo Nuovo dell’inclusione eugenetica. 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.