L'antidoto del Comitato di bioetica alla disinformazione sull'accanimento clinico

Ferdinando Cancelli

Il ruolo di genitori e medici nel definire le cure per i bambini

La mozione del Comitato nazionale per la bioetica del 30 gennaio scorso dal titolo “Accanimento clinico o ostinazione irragionevole dei trattamenti sui bambini piccoli con limitate aspettative di vita” è quasi un antidoto alla disinformazione che regna sovrana in una materia delicatissima, irta di conseguenze bioetiche ed emotivamente coinvolgente come può esserlo la morte di bambini in tenera età. Diversi casi recenti mostrano fino a che punto l’impatto mediatico di vicende umanamente tragiche può offuscare l’oggettività dei fatti in un senso o nell’altro. Prima di concretizzarsi in dodici raccomandazioni pratiche il documento, votato all’unanimità dei membri del Comitato con l’eccezione di un’astensione, pone alcuni punti fermi. Innanzitutto il fatto che ogni caso clinico richieda “un’analisi individualizzata che tenga conto delle condizioni specifiche presenti nelle diverse realtà concrete” e che “eventuali soluzioni precise possano essere date solo da chi conosce direttamente il caso”: troppe volte assistiamo, per motivi per lo più ideologici, ad affrettate prese di posizione e a giudizi drastici dati senza alcuna vera cognizione di causa.

   

Il testo evidenzia anche la complessità di affrontare i casi dei bambini più piccoli, incapaci di esprimersi in modo autonomo e di “comunicare compiutamente la percezione soggettiva del dolore”. In tali casi, si legge, l’accanimento clinico può essere praticato inconsapevolmente, “quasi istintivamente”, perché, “anche su richiesta dei genitori, si è portati a fare tutto il possibile” o consapevolmente come “difesa da possibili accuse di omissione di soccorso”. Può essere assolutamente comprensibile che i genitori chiedano di fare per il loro bambino tutto ciò che la scienza e la tecnica mettono oggi a disposizione della clinica per preservare la vita ma non deve mai mancare una valutazione completa del caso che possa valutare le reali possibilità di successo dei trattamenti e le sofferenze che da tali tentativi possono derivare al bambino. In altre parole, “escludendo ogni valutazione in termini di costi economici”, si deve “evitare che i medici si immettano in percorsi clinici inefficaci e sproporzionati solo per accondiscendere alle richieste dei genitori e/o per rispondere a criteri di medicina difensiva”.

 

Nei confronti dei genitori il testo, scritto avvalendosi della collaborazione di alcuni dei più noti esperti italiani di pediatria, anestesia e rianimazione infantile e cure palliative pediatriche, mostra di avere particolare attenzione. La valutazione “complessa e a volte tragica del beneficio complessivo delle cure spetterà al medico e ai genitori” evitando, lungo tutto il percorso di cura, pericolosi deficit comunicativi o, peggio, imposizioni immotivate e cercando un’integrazione tra “i processi decisionali dei medici e dei comitati etici” con la partecipazione dei genitori. Questi ultimi, si legge, dovranno essere coinvolti “nel piano di cura di assistenza del piccolo paziente” identificando limiti e legittimità per inizio e mantenimento dei trattamenti sanitari e mettendo in atto, quando necessario, adeguate cure palliative per le quali va garantito l’accesso. Il ricorso ai giudici, afferma la quinta raccomandazione, sarà messo in atto “come extrema ratio” solo in caso di “insanabile disaccordo tra l’équipe medica e i familiari”, fatto che alla luce di quanto sopra affermato e della nostra personale esperienza clinica potrebbe risultare di rarissima necessità.

  

Dalla lettura del testo derivano anche alcuni stimoli importanti. Intanto quella “garanzia di accesso alle cure palliative” che è ancora obiettivo lontano nel nostro paese, obiettivo che è un diritto dei cittadini per quanto sancito dalla legge 38 che compie ormai dieci anni. Inoltre la necessità di “implementare la formazione dei medici e del personale sanitario” per “sostenere i genitori sul piano emotivo e pratico” e per “potenziare la ricerca sul dolore e sulla sofferenza nei bambini” giungendo a misurazioni oggettive dei sintomi che possano guidare le decisioni cliniche”.

 

Infine “agevolare la vicinanza dei genitori ai bambini in condizioni cliniche estremamente precarie” favorendo i congedi retribuiti dal lavoro e l’assistenza a domicilio. Sarà solo riuscendo a concretizzare quanto proposto che potranno essere affrontate in modo più umano e professionale vicende complesse e rese ancor più profondamente dolorose da chi si limita ad un approccio superficiale.

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