Bandiera bianca
Trump vorrebbe un suo arco di trionfo. Ma non ha nulla per cui trionfare
Da Roma a Parigi, passando per Benevento e Rimini. È un monumento che accomuna antichità e modernità, repubbliche e monarchie, governanti illuminati e tracotanti despoti. In pratica, non si nega a nessuno
Di là dal suo personale derangement, è interessante notare come quasi nessuno abbia dato credito a Donald Trump quando ha annunciato la prossima costruzione di un Arco di Trionfo vicino al memoriale di Arlignton, sul Potomac. Col consueto minaccioso solipsismo, Trump ha pronosticato che quest’immaginario Arco di Trionfo surclasserà il più celebre omologo di Parigi. Da un lato Trump è stato immodesto, perché avrebbe potuto dire che, col suo nuovo Arco di Trionfo, Washington si sarebbe alfine dotata di un monumento comparabile a quelli che già decorano Roma, Milano, Genova, Trieste, Rimini, Benevento, Susa, Fano, Jesi, Canosa… Dall’altro, però, Trump è stato modestissimo: a New York, tanto per dire, ci sono già due Archi di trionfo, entrambi inaugurati sotto Benjamin Harrison, non proprio il più indimenticabile dei presidenti.
Del resto, l’Arco di trionfo è un monumento che accomuna antichità e modernità, repubbliche e monarchie, governanti illuminati e tracotanti despoti: quello di Lisbona fu voluto da Luigi I il Popolare (i re di Portogallo hanno soprannomi stupendi); quello di Innsbruck da Maria Teresa; quello di Caracas dal leader della rivoluzione legalista, Joaquín Crespo; quello di Pyongyang da Kim-Il-sung, come regalo di compleanno. Napoleone commissionò in proprio onore quelli di Parigi e di Milano (oggi Arco della pace) mentre a Londra e a Mosca Giorgio IV e lo zar Nicola I ne commissionavano altrettanti contro Napoleone stesso. Quindi Trump può tranquillamente costruirsene uno suo e vantarsi quanto gli pare: non riuscirà mai a far passare sotto silenzio il dato di fatto che un Arco di trionfo non si nega a nessuno.