
Foto Ansa
Bandiera Bianca
La coda alle mostre di Man Ray e Andrea Appiani spiega il carattere degli italiani
Al Palazzo Reale di Milano si vedono file per la mostra dell'artista statunitense e sale vuote per il fotografo italiano: non è questione di merito, ma di come a noi italiani piace guardare sempre con un certo sospetto i vicini di casa. E di quanto ci piace dirci moderni, ma con mezzo secolo di ritardo
Perché al Palazzo Reale di Milano ho trovato una bella coda per la mostra su Man Ray mentre sono entrato in fretta a quella su Andrea Appiani? Non credo dipenda dalla caratura degli artisti, che sono incommensurabili, né dalla qualità delle esposizioni, di fatto equivalente. Penso piuttosto abbia a che fare col carattere di noi italiani. Ray è noto soprattutto come fotografo, Appiani come pittore; e a noi italiani piace l’arte che ci illude della sua facilità, quella che ci fa credere basti un colpetto di pollice sullo smartphone. Ray è nato a Filadelfia e morto a Parigi, Appiani è nato e morto a Milano; e a noi italiani piace guardare sempre con un certo sospetto i vicini di casa. Ray è stato uno spericolato avanguardista, Appiani è stato un caposaldo del neoclassicismo; e a noi italiani piace mostrarci aperti alle novità, a patto che sia passata almeno una cinquantina d’anni. Ray dipingeva le effe del violoncello sulle schiene femminili, Appiani ritraeva già nel 1796 un giovane generale destinato a farsi un nome, Napoleone Bonaparte; e a noi italiani piace credere che il genio sia soltanto provocazione e mai intuito, mai lungimiranza.

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