
Bandiera bianca
Perchè le app che traducono in tempo reale con l'AI non possono funzionare
Promettono di far capire tutti a tutti. Sono app molto ottimiste, nel senso deteriore del termine, per almeno quattro motivi
E così sono arrivate le app antibabeliche e pentecostali che promettono di far capire tutti a tutti, traducendo simultaneamente con l’intelligenza artificiale la voce di chiunque già mentre sta parlando.
Sono invero delle app molto ottimiste, nel senso deteriore del termine, per almeno quattro motivi. Anzitutto partono dal presupposto implicito che le persone parlino tutte nello stesso modo, indipendente dalla provenienza, e che quindi una lingua sia sovrapponibile a qualsiasi altra per mezzo di un automatismo, senza falle né sbavature.
Poi si fondano sul principio che ciò che le persone dicano sia comprensibile e, di conseguenza, immediatamente traducibile per metterlo a disposizione di un’umanità aliena e ostrogota; quando invece il grosso di ciò che diciamo, ma anche di ciò che facciamo, resta incomprensibile a noi stessi, figuriamoci a un algoritmo o – assurdità – ad altre persone.
Terzo, si radicano sulla pretesa che le persone si fidino, e che magari gente molto attenta a calibrare le parole nella propria lingua si senta in una botte di ferro vedendosi automaticamente doppiata in urdu o in kiswahili.
Da ultimo, e soprattutto, tali app intendono trasmettere fiducia in un futuro prossimo in cui tutti possano andare d’amore e d’accordo perché si capiscono immancabilmente; quando invece il modo migliore di apprezzare la gente è confidare che si sia spiegata male, sperare di avere frainteso, concedersi il beneficio del dubbio.