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bandiera bianca

Anche noi cittadini, a modo nostro, facciamo del fundraising

Antonio Gurrado

Ho ricevuto una mail per finanziare la pubblicazione di un libro. Ma l'autore è un docente universitario: l'ho già finanziato abbastanza con le mie tasse

Stavo mandando una mail al commercialista quando una notifica mi ha avvisato che potevo partecipare al fundraising – ma il mittente era raffinato, parlava di “sottoscrizione” – per far pubblicare dalla tal casa editrice il tal libro del tale autore. Quella delle sottoscrizioni è una tradizione d’oro della civiltà europea: per secoli gli autori si sono sforzati di trovare lettori che pagassero in anticipo l’uscita del libro, così da garantirsi i soldi per scriverlo. Tanto per fare un esempio, è ciò che ha reso possibile l’“Encyclopédie” di Diderot e d’Alembert.

Onoratissimo dunque che si pensasse a me come salvatore della cultura, sono andato a documentarmi sulla destinazione del mio mecenatismo. Ne ho appreso trattarsi di un saggio letterario di duecentoquarantaquattro pagine, dalla carta nobile e dalla rarefatta copertina, una gioia a vedersi, “un’ampia serie di capitoli seguiti, in appendice, da separati interventi critici”. Come non finanziare tanta erudizione, tanta grazia, tanta beltade? Stavo quasi per arraffare il portafoglio quando ho letto che l’autore del progetto era stato professore ordinario in questa e quella università; ossia un dipendente pubblico pagato per decenni all’incirca quattromila euro al mese per fare una trentina di ore di lezione, mandare al suo posto assistenti e dottorandi e, nel frattempo, far ricerca su ciò che più gli aggradava. Allora ho lasciato il portafoglio dov’era, desumendo che la mail mi fosse stata inviata per errore: avevo già abbondantemente partecipato alla sottoscrizione, per anni e anni, con le mie tasse.