ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Bandiera bianca

Le autocitazioni di Scalfari

Antonio Gurrado

Se è una fortuna rara avere una vita lunga abbastanza da potersi rileggere, rarissima è la sorte di chi fa perfino in tempo a riscriversi

Scatenato, Eugenio Scalfari a pagina 27 di Repubblica esordisce citando Ibico e Saffo salvo poi, nel capoverso sotto i lirici greci, rivelare: “Ci ho ripensato rileggendo il mio “Scuote l’anima mia Eros”.” E questo è già straordinario e meritevole di invidia: poiché, schiacciati come siamo da contrattempi e incombenze, da stanchezze e fiacchezze, il sogno di tutti è arrivare a un punto della vita in cui si abbia tempo di rileggere i classici, dai lirici greci in poi. Avere però anche il tempo di arrivare fino a rileggere se stessi è straordinario. Non contento, nella colonna successiva Scalfari non si tiene più: cita Schopenhauer e Nietzsche facendo riferimento al proprio “Incontro con Io”, quindi passa a Diderot e cita due proprie opere in un sol colpo, “Il sogno di una rosa” e “Per l’ampio mare aperto”.

 

È ormai uno Scalfari che pensa se stesso pensante, giunto al nirvana intellettuale in cui tutta la cultura precedente può essere letta attraverso la lente delle proprie precedenti letture e citata tramite il maglio delle proprie precedenti scritture. Ma sopra ogni cosa, per un’intera pagina di Repubblica, Scalfari scrive un articolo in cui cita se stesso citante; se è una fortuna rara avere una vita lunga abbastanza da potersi rileggere, rarissima è la sorte di chi fa perfino in tempo a riscriversi.

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