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I delinquenti non si ravvedono, nemmeno in tempi di quarantena

Antonio Gurrado

C'è un calo dei delitti, dicono le statistiche. Ma se le leggiamo in modo controdeduttivo i numeri fanno comunque paura

“Cosa c’è in un nome?”, si chiedeva Shakespeare. Io, più modesto, mi domando cosa ci sia in un numero. Ad esempio, la Criminalpol ha diramato i dati relativi ai reati nel mese di marzo: rispetto allo stesso periodo nel 2019, l’emergenza coronavirus ha fatto calare gli omicidi volontari del 65 per cento, le minacce e le percosse del 61 per cento, le rapine del 54 per cento, i furti in abitazione del 72,5 per cento. Qualcuno può trarne la conseguenza consolante che almeno questo sta andando meglio; qualcun altro la conseguenza sconfortante che al calo dei reati dal vivo corrisponde un aumento di quelli su internet (lo chiameranno smartcriming?).

 

Io, personalmente, preferisco leggere questi numeri al contrario. Cioè, nonostante il divieto di uscire, nonostante le pattuglie che circolano indefesse nelle strade deserte, nonostante che appena ci si azzarda a fare la spesa arrivi qualcuno che vuol misurarci la febbre, rispetto all’anno scorso c’è comunque un 35 per cento di omicidi che riescono, un 39 per cento di minacce e percosse che raggiungono il destinatario, un 46 per cento di rapinatori con l’autocertificazione e un ragguardevole 27,5 per cento di furti d’appartamento mentre ci siamo noi dentro. Siamo una nazione piena di risorse, che non si dà mai per vinta.

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