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Gli hater che sui social infrangono il decoro che loro stessi invocano

Antonio Gurrado

A proposito dell’assalto del gruppo Facebook “Uniti per Salvini” a Michela Murgia o i tweet del commissario agli esami di Stato poi rimosso per razzismo e omofobia

Controintuitiva quantunque, la caratteristica che accomuna gli sbrocchi degli hater sui social è questa: infrangono il decoro che essi stessi invocano. Vale anche per i recentissimi casi di cronaca, come l’assalto del gruppo Facebook “Uniti per Salvini” a Michela Murgia o i tweet del commissario agli esami di Stato poi rimosso per razzismo e omofobia; ma, in realtà, è una costante inveterata. Il presupposto di questi improperi è infatti che il nemico – in base al colore della pelle o ai gusti sessuali o all’ideologia – sia tale in quanto la sua presenza e la sua azione incrinano l’ordine e la decenza pubblica: viene accusato, che so, di puzzare, di commettere sconcezze, di costituire un pericolo, eccetera. Se non che lo stesso rimprovero può essere mosso ai post minacciosi e beceri di cui il web trabocca a opera dei presunti paladini della bella figura. Costoro si difendono avanzando una distinzione capziosa: il disdoro che il nemico arreca è pubblico, quindi interessa la collettività, mentre le esternazioni colorite sono opinioni private, quindi nessuno deve immischiarsi. S’ingannano tuttavia, poiché qualsiasi opinione diventa pubblica nel momento in cui la si esprime (specie sui social); se davvero ci tenessero così tanto alla privacy dei loro pensieri, non scriverebbero nulla da nessuna parte e sarebbe molto meglio. 

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