"L'omicidio", di Paul Cezanne

Altro che Salvini. Ora sono i parroci ad assolvere chi spara ai ladri

Antonio Gurrado

Quando il rapinato diventa vittima tanto quanto il morto. O forse di più

Che lo difendano Matteo Salvini e Giorgia Meloni è prevedibile, è politica o (se proprio vogliamo nobilitare) quasi ideologia. Che lo difendano i colleghi è ragionevole, è spirito corporativo rinforzato dal sollievo di non essersi trovati al posto suo. Che poi lo difendano i concittadini è naturale, credo, è un istinto a far quadrato fomentato da un sotteso campanilismo che in Italia non guasta mai. Ma che il tabaccaio di Pavone Canavese (Ivrea), sotto indagine dopo avere sparato a un ladro uccidendolo, venga infine difeso dal parroco con ampie dichiarazioni sui giornali è forse sintomo di qualcosa che trascende la religione. Alla misericordiosa invocazione di pietà nei confronti di innocenti e colpevoli, il parroco aggiunge infatti una perorazione giustificatoria il cui succo è l'assenza dello Stato, causa d'insicurezza sufficiente a rendere il tabaccaio vittima tanto quanto il morto o forse più. La legge deciderà secondo la lettera. Quanto allo spirito, invece, il parroco è riuscito a incunearsi fra pieghe profonde dell'animo nazionale, che da tempo ammaliano e inquietano gli stranieri che osservano l'Italia. Per esempio già un secolo e mezzo fa, in "Erewhon", Samuel Butler si era ispirato all'Italia per immaginare un mondo in cui i delitti venivano trattati alla stregua di malattie e i colpevoli, di conseguenza, compatiti per la sventura: "Povero disgraziato, ha ammazzato suo zio", è la frase che citava a titolo di esempio direttamente in lingua originale. Solo che quella voleva essere una distopia, non ambiva a diventare cronaca.

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