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Cosa non funziona nel dibattito sui negozi di cannabis light

Antonio Gurrado

La discussione attorno alla sentenza della Cassazione si è trasformata in un contrasto fra bene e male. Per mettere tutti d’accordo, si adotti la discriminante della bellezza

Meno Stato etico e più Stato estetico. Il dibattito successivo alla sentenza che dispone la chiusura dei negozi di cannabis light è tutto imperniato sul contrasto fra bene e male, con lo Stato nel ruolo del buono e i pittoreschi negozietti in quello del cattivo. In tali contrapposizioni tuttavia il fin di bene è sempre sindacabile, ragion per cui chi contesta la sentenza ha gioco facile nel ritorcerle contro lo stesso principio: per proibire sostanze potenzialmente dannose cosa facciamo, chiudiamo enoteche, tabaccai e gelaterie?

 

L’unica sostanza psicotropa di cui abuso sono i Pan di Stelle, ragion per cui la diatriba mi trova indifferente; ciò nondimeno, per mettere tutti d’accordo, propongo che venga adottata la discriminante della bellezza. Le rivendite di canapa sono spesso pacchiane e tristanzuole, quindi restino aperte solo le poche che non offendono la vista. Allo stesso modo, si può approfittarne per un repulisti di tutti i luoghi dal beneficio dubbio ma dall’indiscutibile pessimo gusto: sono in larga parte orrendi i compro oro, le slot machine, i bubble tea, i bazar di accozzaglie, gli antri per scommettitori e le fucine di schifezze alimentari. Se lo Stato vuole intervenire sulla moralità pubblica, inizi a sradicare la bruttezza e scoprirà che un’Italia bella sarà più libera e felice di un’Italia buona.

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