Piazza della Signoria a Firenze (foto LaPresse)

Perché il patentino da antifascista rischia di assecondare la deriva fascista

Antonio Gurrado

Il caso del Comune di Firenze, che dà una certificazione ad hoc per potere occupare spazi pubblici con manifestazioni autorizzate, ha dei limiti notevoli

Il Comune di Firenze ha approvato un regolamento che prevede l'emissione di un certificato di antifascismo, senza il quale non sarà possibile avere il diritto di occupare spazi pubblici con manifestazioni autorizzate. Questo piccolo gesto dettato dalle migliori intenzioni (di cui sono lastricate, com'è noto, le vie infernali) ha due conseguenze. La prima è che il cosiddetto patentino antifascista non sarà rilasciato, pare, a chi esprima idee non necessariamente fasciste bensì tacciabili di razzismo oppure di omofobia: qui i confini si fanno più labili (se uno è contrario alle nozze omosessuali è fascista?) ed emerge il sospetto che in Italia si definisca all'ingrosso "fascismo" tutto ciò che non rientra in generici buoni sentimenti che si ritenga debbano essere condivisi da tutti, obbligatoriamente. La seconda è che l'annacquamento del concetto di fascismo porta non solo a depotenziarlo, sforzandosi di riscontrarlo nelle ideologie più confuse o balzane, ma anche ad ampliare a dismisura l'arbitrio di chi può decidere cosa sia fascismo e cosa no. Garantire le manifestazioni pubbliche solo a chi è munito di tesserino è un inizio, ma sicuramente prima o poi salterà su qualcuno a sostenere che i metodi migliori per prevenire la diffusione del fascismo siano olio di ricino e manganello.

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