Trivelle, addio. Votare, ma per cosa?

Luciano Capone
Tante le motivazioni dei No Triv, ma nessuna oramai riguarda il referendum. Meglio astenersi.

Roma. L’inchiesta della procura di Potenza e le intercettazioni attorno al progetto Tempa Rossa che hanno portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi hanno riacceso il sonnecchiante referendum sulle “trivelle”. Non è che all’improvviso sia diventato fondamentale decidere se le concessioni per estrarre idrocarburi entro le 12 miglia debbano durare fino all’esaurimento del giacimento o fermarsi prima. Del quesito referendario, che si occupa di quest’aspetto tecnico, praticamente non ne parla nessuno. La cosa non appassiona gli elettori, ma soprattutto non sembra interessare neppure ai promotori del referendum e alle forze politiche schierate per il Sì (che poi vuol dire “No alle trivelle”).

 

Pippo Civati, che ha fondato Possibile dopo essere uscito dal Pd, ha elencato i motivi per andare a votare: “Perché il governo non dice la verità”, perché Matteo Renzi  ha “chiesto di non votare”, per “contrastare il disamore, l’astensionismo e la sfiducia”, perché “l’astensione è una furbizia”, per “condannare lo spreco di 300 milioni”, per rompere il legame tra il governo e le lobby, per la Costituzione, per “far girare il mondo in un altro modo”.  Della durata delle concessioni e delle relative ricadute, che è poi la domanda su cui dovranno esprimersi gli elettori, non c’è traccia. I comitati per il Sì invitano le persone a recarsi alle urne per dare un segnale sui “beni comuni” e sulla “politica energetica nazionale”, per difendere il mare e il turismo. Matteo Salvini chiama i cittadini alla mobilitazione, che vadano a votare “alla faccia di Renzi, anche dove il mare non c’è e nemmeno le trivelle”.

 

In molti hanno cambiato idea dopo la pubblicazione delle intercettazioni di Potenza e le dimissioni della Guidi. Il presidente della Toscana, Enrico Rossi, già candidato alla segreteria al prossimo Congresso del Pd, ha dichiarato: “Voterò Sì, turandomi il naso”. Eppure la Toscana non era tra le 10 regioni promotrici del referendum. Dei sei quesiti originari cinque sono stati accolti dal governo e ne è rimasto in piedi solo uno, dall’importanza residuale, tanto che diverse regioni promotorici si sono tirate indietro o cercano di ridimensionare l’importanza della consultazione. Antonio Padellaro sul Fatto quotidiano scrive che aveva deciso di disertare le urne, ma poi ha cambiato idea. “Dopo il caso Guidi ho deciso che mi recherò di corsa al seggio” per dire no a un sacco di cose: al familismo amorale del ministro Boschi e dell’ex ministro Lupi, alle lobby, al Tg1, alle leggi dettate da Fiat, Mediaset e Lega Coop e “potrei andare avanti, ma come motivazioni elettorali penso che possano bastare”. E la durata delle concessioni? Boh. “Respingiamo l’idea che si possa trivellare il nostro mare, trovare eventualmente il petrolio e mettere a rischio la pesca, il turismo e la qualità delle acque”, dice il frontman dei No Triv Michele Emiliano. Ma il referendum non riguarda nuove concessioni. Si occupa delle piattaforme esistenti, dove le trivellazioni sono già state fatte e i giacimenti di idrocarburi già trovati. E in ogni caso, a prescindere dal raggiungimento del quorum e dall’esito della consultazione, non ci saranno nuove trivelle.

 

Il sindaco zapatista Luigi de Magistris convoca il popolo per difendere i molluschi partenopei dalle perforazioni: “A Napoli cozze e vongole, no trivelle. Il nostro petrolio giovani, cultura, monumenti, paesaggio, mare. Non ci avrete mai!”. Ma a Napoli piattaforme e trivelle non ce ne sono e non ce ne saranno, perché per legge non ci potranno essere nuove concessioni entro le 12 miglia. Il leader della Fiom Maurizio Landini ha impegnato il sindacato nella battaglia referendaria per “fare una riconversione ecologica del sistema produttivo ed economico” e perché “è necessaria una nuova politica energetica che riduca il peso del fossile”. E’ intervenuto persino Adriano Celentano, per dire che non importa se con il successo del referendum si dovessero perdere 11mila posti di lavoro. Bisogna andare a votare per salvare la vita di tanti bambini: “Io dico a quegli 11 mila lavoratori che invece dovranno essere fieri di perdere il posto di lavoro, perché salveranno 22 mila bambini che morirebbero di cancro mettendosi in coda”. Da dove saltino questi numeri che mettono in relazione le piattaforme di estrazione e i tumori infantili lo sa solo il “Re degli ignoranti”. Tra i tanti appelli per convincere le persone a infilare la scheda nell’urna, il più chiaro e sincero è quello lanciato da Beppe Grillo: “Bisogna andare a votare Sì, senza capire. Bisogna dire sì e basta”.

 

Il fronte referendario e dei costituzionalisti come Stefano Rodotà hanno definito “intollerabile”, “inquietante” e “anti democratico” l’invito all’astensione rivolto dal governo, ma i No Triv non fanno un buon servizio alla democrazia con l’appello plebiscitario al voto per tantissime cose su cui non si vota. Non si vota su Renzi, non si vota sulla Guidi, non si vota sulle intercettazioni, non si vota sul Tg1, sulle rinnovabili, sulla Boschi, sulle nuove trivellazioni, sul petrolio, sulla Costituzione, sulle cozze o sui bambini malati. Si vota sulla durata delle concessioni esistenti entro le 12 miglia. La vera delegittimazione del referendum non proviene dagli inviti all’astensionismo, ma dalle campagne propagandistiche su temi che non riguardano la consultazione. Se non si sa neppure di preciso per cosa si va a votare, astenersi diventa una scelta giusta oltre che legittima.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali