L'immigrazione islamica non è uguale alle altre. Perché dirlo. Lettera aperta

Davide Romano
Sull'accoglienza servono strategie che abbiano forza e al contempo credibilità. Solo riconoscendo che il problema esiste e discutendone pubblicamente, potremo trovare le soluzioni migliori

Al direttore - Dopo avere pianto i morti degli attentati di Bruxelles è tempo di porre anche a sinistra e al nostro presidente del Consiglio in particolare, la domanda più scomoda e terribile: possiamo permetterci l’ingresso di altri musulmani? In Belgio la generosa accoglienza ha significato perdita di controllo di territori ad alta densità islamica, insicurezza per gli ebrei che sempre più numerosi abbandonano il paese, attentati terroristici. Davanti a tutto questo è doveroso proporre soluzioni alternative a quelle adottate nel nord Europa, e non negare la realtà dando del “razzista” a chi denuncia che qualcosa non va o si preoccupa. Nelle urne infatti, come abbiamo visto, tra chi esagera un pericolo che esiste e chi lo nega o lo sminuisce, le simpatie vanno ai primi.

 

Cominciamo dunque affermando chiaramente che l’immigrazione islamica è diversa dalle altre. E’ infatti innegabile che qualunque migrazione porta la propria peculiare cultura (e sottocultura) con sé. Noi italiani per esempio abbiamo portato anche la mafia negli Stati Uniti, oltre a tante brave persone. Non può essere dunque accusato di razzismo chi si preoccupa che insieme a tanti musulmani pacifici arrivi anche l’integralismo. Parimenti evidente è che il richiamo del fanatismo conquista tanti cuori, soprattutto quelli dei figli degli immigrati, che sono nati e cresciuti qui. Qualche mese fa un responsabile delle forze dell’ordine mi ha raccontato che gli attentati bloccati nella sola Lombardia sono stati una mezza dozzina. A conferma che Bruxelles e Parigi non sono poi così lontane. Non dimentichiamo poi che nelle scuole e università francesi a partire dal 2000 hanno sempre meno parlato di Shoah per paura delle contestazioni di gruppi di ragazzi di origine arabo-islamica. Anche in Italia da qualche anno inizia a succedere nelle nostre scuole superiori che alcuni studenti di origine maghrebina contestino il giorno della Memoria. E se anche qualche nostra insegnante iniziasse a pensare di non affrontare il tema l’anno prossimo per evitare problemi? Possiamo dunque, nonostante tutto questo, accogliere altri profughi in arrivo dal mondo islamico? La risposta resta testardamente positiva: chi fugge dalla guerra deve essere salvato. E’ un dovere morale costitutivo dell’identità civile e religiosa della nostra civiltà. Il Signore nei due testamenti ci ripete “ama il prossimo tuo come te stesso”, e certo tale amore va distribuito agli scampati dalle guerre (ma è poi vero amore, quello che li lascia in balìa del jihadismo?), senza però dimenticare quello per i residenti.

 

Abbiamo poi anche un altro dovere: quello di dire la verità a noi stessi e quindi non negare che tra i profughi vi può essere chi un giorno cercherà di ucciderci. So quanto sia terribile quanto ho appena scritto, ma è una incontestabile realtà della storia europea di questo secolo, e in particolare di questi ultimi anni. E’ proprio negando questo dato di fatto che rischiamo di fare irritare sempre di più le opinioni pubbliche e consegnarle alla destra più radicale. Se vogliamo recuperare gli elettori arrabbiati, non neghiamo l’evidenza per timore di spaventarli. Sono già spaventati, ma non stupidi e insensibili. Ricordiamoci infatti che l’orrore del terrorismo non ha impedito a tutti noi di commuoverci di fronte al piccolo Aylan fotografato senza vita su una spiaggia, o davanti alle immagini della nascita di un bimbo nella tendopoli di Idomeni. A dimostrazione del fatto che, nonostante tutto, restiamo una società aperta all’accoglienza. Dobbiamo solo proporre strategie che abbiano forza e al contempo credibilità. Solo riconoscendo che il problema esiste e discutendone pubblicamente, potremo trovare le soluzioni migliori. Lavoriamo dunque molto di più sull’integrazione: puntiamo su chi tra i musulmani combatte davvero il fanatismo, invece di abbandonarlo appena si spengono le luci delle telecamere. E per esempio, quando si parla di moschee, tolleranza zero: non lasciamole ai fanatici o a personaggi non al di sopra di ogni sospetto. Rendiamole invece un’arma contro l’integralismo. Magari in collaborazione con il governo del Marocco e i suoi validi predicatori anti-jihad. Chiediamo al ministro degli Interni Alfano di non dire di voler “mettere a punto un piano nazionale antiradicalizzazione” ogni volta che c’è un attentato in Europa, lo faccia subito. Nonostante tutte queste paure infatti, se avremo il coraggio di usare parole di verità, l’opinione pubblica risponderà bene: preferendo la salvezza certa della vita di centinaia di piccoli Aylan, rispetto a un possibile rischio per la propria. A patto che quest’ultimo sia reso davvero sempre più remoto.

 

Davide Romano è assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano

Di più su questi argomenti: