Una pianta di ulivo

La storia del complotto anti-ulivi smontata anche dall'Europa

Luciano Capone
Uno studio dell'Efsa conferma che il batterio Xylella è la causa del disseccamento degli ulivi. Della campagna degli ambientalisti non resta che una spy-story fantascientifica degna di "Kazzenger".

È arrivata la prova definitiva: Xylella è la causa del disseccamento degli ulivi. La notizia arriva dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che sul suo sito ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dall’università e dal Cnr di Bari, insieme al Centro di ricerca Basile Caramia di Locorotondo (sempre a Bari) e finanziato dall’agenzia dell’Unione Europea. I ricercatori hanno trovato la conferma definitiva del fatto che, dopo 12 mesi dall’inoculo del batterio (sia in serra che in campo), le piante mostrano i sintomi del disseccamento rapido degli olivi (CoDiRo), la malattia che sta compromettendo l’olivicoltura salentina e che rischia di produrre danni enormi a tutta l’olivicoltura italiana e mediterranea (che poi è l’olivicoltura globale). Lo studio conferma anche che la sputacchina, un insetto molto diffuso che si nutre della linfa delle piante, è il vettore che trasmette il batterio da una pianta all’altra. In pratica vengono confermate tutte le ipotesi scientifiche da tempo sostenute dagli scienziati pugliesi, che, proprio per le loro tesi e il loro lavoro, sono accusati dall’inchiesta della procura di Lecce di una sfilza di reati tra cui la diffusione della malattia, cioè proprio ciò che stanno cercando di contenere e debellare attraverso ricerche su un tema sino a pochi anni fa completamente sconosciuto.

 

“Questi risultati confermano che il ceppo CoDiRo di Xylella fastidiosa causa il disseccamento dell’ulivo – ha dichiarato Giuseppe Stancanelli, responsabile dell’unità per la salute delle piante e degli animali dell’Efsa, “questo è un importante passo in avanti perché possiamo determinare con accuratezza il rischio della diffusione di un’epidemia dalla Puglia solo se colmiamo il gap di conoscenza del range degli ospiti e dell’epidemiologia del ceppo pugliese di Xylella fastidiosa”. Dal punto di vista scientifico ci sono anche dei segnali positivi che provengono da alcune varietà di ulivo più resistenti all’infezione della Xylella, che è considerato un patogeno da quarantena, proprio perché al momento non esiste una cura.

 

Ma le conseguenze più importanti riguardano il fronte giudiziario. Sul Foglio abbiamo a lungo raccontato la storia della Xylella infame, un abbaglio di alcune associazioni ambientaliste a caccia di untori trasformatosi poi in delirio collettivo e infine, purtroppo, in inchiesta giudiziaria con le accuse ai ricercatori. L’impianto traballante dell’indagine condotta dal procuratore Cataldo Motta – basata su insinuazioni, sospetti, coincidenze, cultura del complotto, sulla solita longa manus delle multinazionali e piena anche di una serie di falsità ed errori fattuali – poggiava su due deboli gambe: la presenza di diversi ceppi di Xylella e l’assenza delle prove di patogenicità. In pratica, secondo la teoria della magistratura, che si poggiava su una consulenza secretata che nessuno nella comunità scientifica ha potuto ancora vedere, la presenza in Salento di addirittura nove ceppi diversi dimostrerebbe che il batterio è presente da tanti anni, e l’assenza delle prove di patogenicità dimostrerebbe a sua volta che non è la Xylella a causare il disseccamento degli ulivi. Le cause sono varie ed eventuali: l’uso dei pesticidi, una specie di complotto di scienziati e multinazionali, sperimentazioni scientifiche andate male, l’intenzione di distruggere il paesaggio pugliese, e chi più ne ha più ne metta.

 

In poco tempo entrambe le fragili gambette dell’inchiesta si sono spezzate. Prima è arrivato uno studio che conferma come in Salento vi sia uno ed un solo ceppo di Xylella – esattamente ciò che hanno sempre sostenuto gli indagati – e non i “perlomeno nove ceppi” che non si sa come avrebbe accertato il procuratore Motta. Ora arriva lo studio dell’Efsa che conferma ciò che tutti immaginavano e che aveva creato tanto allarme: è la Xylella che fa morire gli ulivi. Tra l’altro, perde qualsiasi credibilità anche l’ipotesi sostenuta dalla procura secondo cui l’Europa, nell’indicare il suo piano di emergenza per contenere la Xylella, sarebbe stata ingannata dagli scienziati indagati, visto che ora è proprio l’Europa a confermare le tesi scientifiche degli indagati
attraverso la sua agenzia più competente sul tema.

 

Ora di quest’inchiesta senza piedi, non più in grado di reggersi in piedi né di camminare, restano solo le ipotesi più ardite, le acrobazie complottiste, una perizia segreta, le parole al contrario, i puntini di sospensione e le testimonianze di untori che spalmano gli ulivi con unguenti pestiferi. Veramente poca roba che possa stare fuori da una puntata di Kazzenger o da una spy-story fantascientifica. L’azione giudiziaria ha comunque prodotto i suoi effetti, in primis nei confronti delle persone messe sotto indagine e additate mediaticamente come untori, ma anche rispetto a tutti i cittadini che hanno visto bloccare un piano di emergenza per contenere la diffusione della malattia, e che rischiano di pagare una multa all’Europa a causa dell’apertura di una procedura d’infrazione per la pessima gestione di un’emergenza fitosanitaria rischiosa anche per gli altri paesi. E forse, dopo questa notizia, è il caso che anche la politica si svegli e, anziché di fare caciara sui dazi, si renda conto che l’olio e l’olivicoltura italiana rischiano di sparire per la Xylella e non per l’olio tunisino.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali