Una nuova ricerca mette in crisi il teorema complottardo sulla Xylella

Luciano Capone
Guerra giudiziario-scientifica sugli ulivi pugliesi

Milano. “Abbiamo accertato che sono stati trovati nove ceppi di Xylella”, annunciava in televisione il procuratore capo di Lecce Cataldo Motta. Nel decreto di sequestro degli ulivi, con cui dieci scienziati e ricercatori hanno saputo di essere accusati di una lunga serie di reati tra cui di diffusione colposa di malattia, la procura scriveva che i ceppi del batterio potevano essere anche di più “perlomeno nove!!!” (con tre punti esclamativi). Non si sa dove la procura li abbia trovati, ma di certo non in Salento. Sette ricercatori, tra cui alcuni degli indagati, hanno appena pubblicato sullo European Journal of Plant Pathology un articolo che smentisce uno dei pochi elementi scientifici presentati dalla procura: c’è uno e un solo ceppo di Xylella che ha colpito gli ulivi, mandorli, oleandri e ciliegi.

 

Ma partiamo dall’inizio. In Salento da qualche anno gli ulivi si ammalano e muoiono per il Complesso del disseccamento rapido dell’olivo (CoDiRo). All’origine della patologia, secondo i ricercatori del Cnr e dell’Università di Bari che si sono occupati dall’inizio della faccenda, c’è Xylella fastidiosa, un temibile patogeno da quarantena originario delle Americhe e finora assente in Europa. L’allarme per la presenza di un batterio contro cui non c’è cura aveva portato il governo italiano, in accordo con l’Unione europea, a indicare un piano di emergenza per contenere la diffusione della Xylella, evitando che facesse ulteriori danni ad altre colture e in altre regioni. Il piano di contenimento non è stato accettato di buon grado dalla popolazione perché prevedeva di eradicare le piante infette in una fascia di sicurezza, per creare una sorta di linea Maginot. Una misura di gestione del rischio sicuramente dolorosa, ma secondo regione Puglia, ministero delle Politiche agricole e Commissione europea necessaria per evitare conseguenze peggiori.

 

A questo punto, sulla base di una serie di teorie strampalate di associazioni ambientaliste, è intervenuta la procura di Lecce che ha sequestrato gli ulivi e bloccato il piano di emergenza, paventando una specie di complotto internazionale: ricercatori, istituzioni e multinazionali avrebbero diffuso la malattia per distruggere il paesaggio e l’olivicoltura pugliese. Sul Foglio abbiamo ricostruito le contraddizioni e le affermazioni erronee contenute nell’inchiesta. La procura finora ha presentato una consulenza scientifica che secondo Motta accerterebbe la presenza di molti ceppi di Xylella anziché uno, come sostengono i ricercatori indagati. Per la procura questo è un punto fondamentale, perché avrebbe permesso agli accusati di trarre in inganno l’Unione europea per farle approvare un piano non necessario.

 

In realtà neppure i periti scelti dalla procura affermano quanto dice il procuratore Motta, fanno solo delle ipotesi: “Sembra che in Salento siano presenti più popolazioni di Xylella, ma è da dimostrare”. Ora anche questa ipotesi è stata smentita da uno studio (“Intercepted isolates of Xylella fastidiosa in Europe reveal novel genetic diversity”) scritto da ricercatori del Cnr, dell’università di Bari e dell’università californiana di Berkeley e pubblicato su un’importante rivista scientifica internazionale.

 

[**Video_box_2**]Non si sa cosa resti di un’inchiesta che fa fatica a tenersi in piedi come un sacco vuoto senza prove, qualche certezza però c’è sugli effetti che ha già prodotto: è stato bloccato il piano di emergenza, è saltata la struttura commissariale che monitorava l’avanzare della Xylella, è stata esposta l’Italia a sanzioni da parte dell’Europa. Resta da capire come sia possibile che una procura, su basi scientifiche così fragili, possa scavalcare le decisioni di governi e istituzioni internazionali. E’ possibile che su un’epidemia fitosanitaria di tale portata decida una procura dopo aver commissionato una semplice perizia? E’ possibile che questa perizia sia ancora secretata? Non è forse il caso che venga resa pubblica o le istituzioni e la comunità scientifica devono fidarsi delle competenze fitopatologiche dei magistrati?

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali