Erri De Luca nell'aula di tribunale (foto LaPresse)

Non è il fatto, è l'intellettuale che non sussiste

Maurizio Crippa
Il tribunale di Torino ha assolto Erri De Luca “perché il fatto non sussiste”, non sussistendo probabilmente nemmeno il reato di “istigazione al sabotaggio”, configurato dai pm.

Il tribunale di Torino ha assolto Erri De Luca “perché il fatto non sussiste”, non sussistendo probabilmente nemmeno il reato di “istigazione al sabotaggio”, configurato dai pm, che per l’imputato avevano chiesto otto mesi di reclusione per aver scritto, nel 2013, che la Tav in Val di Susa “va sabotata”. Flatus vocis che De Luca ha ribadito ancora ieri, in aula, e che invece i No Tav hanno spesso e volentieri applicato alla lettera, con pietre e molotov e cesosie. Se le parole siano pietre, o le pietre parole, è un dilemma per poeti della domenica, o per poeti muratori, che volentieri lasciamo lì. Può essere meglio, per tutti, che nessuno sia condannato sul brutto crinale di un reato d’opinione. Detto ciò, ci sono altre cose che proprio non sussistono, in tutta la vicenda processuale di Erri De Luca. Ed è sempre meglio aver qualche critica da muovere a un uomo che se ne va libero, anziché a uno che se ne va dietro le sbarre.

 

Non sussistono, va da sé, le “grida, slogan e urla di gioia” che hanno accolto in tribunale la sentenza. Non sussistono, per palese volatilità, le frasi in posa e ispirate dell’imputato che definisce l’aula un “avamposto affacciato sul presente immediato del nostro paese”. Tanto meno sussitono bellurie come “ciò che è costituzionale si decide e difende in luoghi pubblici come questo, come le scuole, le prigioni, i luoghi di lavoro, le frontiere attraversate dai richiedenti asilo. Si decide al piano terra della società”. Forse, in un suo soviet immaginario. Ma sono cose passate di moda, e chi voglia sostenerle sia pronto a pagarne il conto. Come Gandhi e Mandela, appunto.

 

Erri De Luca è magari un ottimo scrittore; senz’altro è una figura pubblica che ha significato qualcosa nella storia italiana. Ha partecipato, ai tempi, a una sua rivoluzione. Non che l’abbia proprio fatta, o conclusa. L’esito non fu granché. Poi la rivoluzione ha dormito, ma lui è libero di fare il bonapartista per tutta la vita (Allons enfants). E di tenersi le convinzioni, coerente. Gli diedero del pirla quando disse, del libro dell’ex brigatista Barbara Balzerani, che gli Anni di piombo furono una “piccola guerra civile”. Probabilmente invece aveva ragione. Sussiste meno, messo a raffronto con altre figure della sua stessa lotta che hanno mantenuto la capacità di dire qualcosa di utile al presente (Cohn-Bendit? Guido Viale?), e soprattutto interpretato come lui l’ha intepretato in questi decenni – cioè con un eccesso d’affettazione, di martirologio – il suo ruolo di intellettuale pubblico. Ci sono intellò, in Francia e non solo, che hanno mantenuto la capacità di parlare una lingua meno artefatta, meno di legno, declinata al presente. De Luca ha fatto il muratore, l’operaio e il volontario. Ha studiato, da autodidatta, l’ebraico per tradurre la Bibbia. Ha scritto libri e poesie. Ha fatto il giurato a Cannes con Patrice Cheréau, e questo solo basterebbe da merito di una vita. Ma il punto che non sussiste è: tutto questo sa svelare qualcosa del mondo di oggi? Dei suoi rapporti di forza? Di ciò che serve a migliorare la società? Basta il benecomunismo vulgaris, l’aria da profeta e il ribellismo di maniera? “Confermo la mia convinzione che la linea sedicente ad Alta velocità va intralciata, impedita e sabotata per legittima difesa del suolo, dell’aria e dell’acqua”. Che ha di adeguato questo a un “Che fare?” qualsiasi? Se si ritiene giusto sabotare ciò che uno stato, pur sgangherato, fa (“il termine sabotare, un termine che considero nobile”), allora si salta il fosso e si fa la rivoluzione.

 

[**Video_box_2**]Sussiste ancora di meno, a cinquant’anni dal disastro, l’idea che rivoluzionarie siano sempre le stesse parole. Com’è possibile che quella che una volta si chiamava sinistra non abbia partorito, nel frattempo, il topolino di un pensiero più intelligente, più adatto ai fatti – se per fatti si intenda anche solo un treno più veloce, come una volta era un fatto, e non un disastro, il traforo del Gottardo? E’ di sinistra opporsi al Gottardo? E’ una sinistra che pensa come De Luca, che è ridotta a farne la solita bandiera, a non sussistere. Le parole non sempre sono pietre, a volte sono balle di scrittori. Però dovrebbero tendere, per loro natura, a seguire le cose. E, se il caso, a precederle. Volere il sabotaggio e la sedizione, cambiare la costituzione dal basso, è un gesto attardato. Come chi lo dice. E se invece di condannarlo l’arcigno Potere lo lascia andare libero, forse è perché nemmeno lui, l’intellò, sussiste.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"