L'attaccante della Roma Gervinho (foto LaPresse)

I guai di Marino, le maghe di Lotito, l'elicottero di Gervinho. Così Roma affonda nel burlesque (e nel macheccefréga)

Alessandro Giuli
E’ così che Roma finisce in burlesque, Roma che si dice Capitale ma non ha più nemmeno un sindaco in pieno possesso dei suoi poteri (con l’aggravante involontaria di un ricovero al Gemelli per una colica, o giù di lì, che inchioda Ignazio Marino a una brevedegenza vanamente dilatoria nel deserto della sua agenda).

E’ così che Roma finisce in burlesque, Roma che si dice Capitale ma non ha più nemmeno un sindaco in pieno possesso dei suoi poteri (con l’aggravante involontaria di un ricovero al Gemelli per una colica, o giù di lì, che inchioda Ignazio Marino a una brevedegenza vanamente dilatoria nel deserto della sua agenda). Roma che vorrebbe essere non dico governata, ma pulita almeno sì e magari anche percorribile senza danni biologici (ieri ho incontrato l’assessore alla Mobilità, Guido Improta, fantasma dimissionario fresco d’inaugurazione d’una metro C senza destinazione certa, ringiovanito dall’abbandono di una carica insostenibile).

 

Roma che rivendica le Olimpiadi e ha due squadre di calcio peracottare, ma talmente peracottare che nello stesso giorno hanno occupato da par loro il podio d’una rubrica immaginaria titolabile “strano ma vero e grottesco”: la Roma che non riesce a disfarsi del suo attaccante Gervinho, malgrado l’accordo raggiunto con l’Al Jazira, perché sul più bello l’ivoriano s’è messo a chiedere la luna ai nuovi padroni: una casa di lusso, una spiaggia domestica, un autista personale e un elicottero privato. “Oscene richieste”, avrebbero commentato i compratori arabi basiti: troppo anche per loro, pur così avvezzi ai capricci dei sultani e alle stravaganze di quei serragli dispotici che sono diventate le società di calcio moderne. Come se bastassero due anni a Roma, e senza mai brillare nel torrido spogliatoio giallorosso, per farsi inoculare il malanno della dismisura, una tracotanza dorata da straccioni nell’animo. Ci sarebbe da invidiarlo perfino, uno come Gervinho, fortunato passante che soltanto nella Capitale poteva raccogliere la maschera di bronzo perfetta da indossare ad Abu Dhabi.

 

[**Video_box_2**]Eppure non è questo il massimo, perché l’iperbole del giorno arriva dall’altra sponda, quella laziale, lì dove signoreggia un potente artista del fai-da-te chiamato Claudio Lotito, il declamatore scaltro del latinorum al servizio del pranzo accoppiato con la cena, un profeta dell’arrangiarsi, il consigliere del Ninnì-che-te-serve; ovvero gran rifilatore di mezze sòle, a giudicare dalle ammissioni del presidente Antonino Pulvirenti, indagato con l’accusa d’aver comprato la salvezza del suo Catania: “Prima Lotito mi ha consigliato una maga vicino a Catania, ma non ha funzionato. Poi un’altra, molto brava e laureata, e in effetti dopo abbiamo vinto con l’Avellino”. La maga laureata non s’era ancora sentita, ma non s’era mai vista neppure un’autodifesa spettacolare come quella che Lotito ha subito rappattumato: “Quale maga, a Pulvirenti io ho suggerito il nome dell’esorcista. E’ facile da verificare ed emerge dagli atti”. Roba da baciarlo, Lotito: due maghe o un esorcista, magari tutti e tre insieme, come da copione di un remake per Lino Banfi o Alberto Sordi, una cosa a metà tra “L’allenatore nel pallone” e “Il presidente del Borgorosso football club”. Pura arte del sopravviversi nella città i cui abitanti hanno una prosopopea che può eguagliare solamente i cumuli di monnezza e vaniloquio stratificati nel tempo. E’ questa Roma, la Capitale in cui nessuno comanda ma tutti fottono il prossimo e quindi se stessi; o per lo meno ci provano, forti di un malinteso senso d’impunità garantito dall’ampiezza burlesca del loro “macheccefréga”.

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