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Se questa è mafia

Redazione
Cravattari & capitale. Coprire tutto sotto il mantello onnicomprensivo dell’associazione mafiosa non solo è ingiusto ma rende anche più difficile identificare in modo giuridicamente corretto le responsabilità individuali. Appunti dopo gli arresti di Roma.

Nell'ambito dell'inchiesta 'denominata Mafia Capitale', giovedì mattina i carabinieri hanno eseguito, nelle province di Roma, Rieti, Frosinone, L'Aquila, Catania ed Enna, un'ordinanza di custodia cautelare, emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, nei confronti di 44 indagati a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori e altri reati.  I provvedimenti, che riguardano gli sviluppi delle indagini condotte dal Ros nei confronti del sodalizio mafioso che faceva capo a Massimo Carminati, "hanno confermato l'esistenza - spiegano gli investigatori - di una struttura mafiosa operante nella capitale, cerniera tra ambiti criminali ed esponenti degli ambienti politici, amministrativi ed imprenditoriali locali".


 

 

Nell’inchiesta “mafia capitale” tornata d’attualità con i 44 arresti di giovedì mattina si intrecciano temi antichissimi, la corruzione politica e le infiltrazioni della criminalità organizzata, con altri più recenti come l’immigrazione clandestina e le forme di assistenza per profughi e nomadi insediati nei centri di accoglienza. Si tratta di argomenti cui l’opinione pubblica è, giustamente, assai sensibile, che però rendono facili le scivolate nel sensazionalismo scandalistico. E’ fin troppo facile fare di tutte le erbe un fascio, considerando le richieste di mazzette da parte di amministratori e funzionari capitolini e regionali a una cooperativa che, a sua volta, gestiva anche rapporti con la criminalità organizzata come la prova della partecipazione di tutti a una colossale organizzazione criminosa di tipo mafioso. Quando si sarà abbassata la polvere dello scandalo, si potranno e si dovranno distinguere i diversi gradi di responsabilità penale, naturalmente sempre se  le accuse troveranno conferma nel giudizio di merito.

 

Dal punto di vista politico quello che emerge è l’effetto perverso della sottovalutazione e quasi dell’occultamento delle operazioni di assistenza nei confronti degli immigrati clandestini (simile a quello che annebbia le scelte che riguardano i campi rom). Siccome si tratta di questioni scomode o impopolari, si è preferito delegarne la gestione a soggetti esterni che apparivano affidabili sotto il profilo della riservatezza, ma che ora si vede quanto fossero in realtà ammanicati in alto con soggetti delle amministrazioni, in basso con bande criminali. Il primo problema politico da affrontare è quello di definire in modo chiaro e senza sotterfugi le scelte sull’accoglienza, tema sul quale le amministrazioni debbono rispondere ai cittadini, anche per evitare o almeno delimitare le reazioni umorali che talora degenerano in conati rivoltosi. E’ proprio nel clima nebbioso che possono più facilmente realizzarsi sistemi collusivi, si possono nascondere fenomeni paradossali di collegamento stabile tra cooperative rosse e personaggi dell’eversione neofascista e poi addirittura con la criminalità organizzata. Se il tema politico va affrontato nella sua complessità, quello giudiziario deve invece rifuggire dalle facili generalizzazioni. I singoli indagati debbono essere perseguiti per specifici reati, suffragati da prove di merito. Coprire tutto sotto il mantello onnicomprensivo dell’associazione mafiosa non solo è ingiusto ma rende anche più difficile identificare in modo giuridicamente corretto le responsabilità, che restano comunque individuali. La confusione tra il necessario risanamento delle procedure politiche e la persecuzione giudiziaria dei reati, che oggi è massima, non serve né alla giustizia né alla politica.